C’è una gerarchia imposta dal regime delle frontiere alla mobilità che discrimina tra viaggiatori qualificati, i turisti, e non, i migranti. C’è un’industria, quelle delle frontiere, che è diventata un business gigantesco. Ci sono muri tirati su prima di tutto per segnalare che chi sta dall’altra parte è diverso, indesiderato, perfino non umano, e per provocare sofferenze fisiche.
Ma ci sono anche uomini e donne capaci di rovesciare quelle gerarchie e di saltare muri lottando con l’unica cosa di cui dispongono, i propri corpi. Scrive l’iraniano Shahram Khosravi (migrante clandestino, oggi docente di Antropologia sociale a Stoccolma) in Io sono confine (elèuthera), di cui pubblichiamo la prefazione: “In quest’era di feticismo dei confini, oscurata dall’ombra dei muri in costruzione, c’è una domanda urgente, politica ma anche intellettuale, cui va data risposta: che cosa si vede se guardiamo il confine dall’altra parte?…” … leggi tutto