Trattativa Stato-mafia, parla Mori: “In quei giorni solo il Ros contro Cosa Nostra, affrontata senza violare la legge” (ilriformista.it)

di Mario Mori

La sentenza d'appello di Palermo

Signor Direttore,

faccio ancora ricorso alla sua gentilezza per chiederle, se lo riterrà opportuno, di pubblicare questo mio intervento, che vuole essere una personale analisi delle argomentazioni sostenute nelle motivazioni dalla Corte d’Assise d’Appello di Palermo relative alla sentenza che, il 23 settembre 2021, mi ha mandato assolto, unitamente ai colleghi Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, per non avere realizzato quelle minacce al Governo del paese, attribuiteci in sede di processo di primo grado, e per le quali avevamo ricevuto una pesante condanna.

Nel testo i giudici, mentre definiscono inequivocabilmente la liceità del comportamento dei Carabinieri del Ros in relazione agli addebiti loro mossi, esprimono alcune critiche che si possono così riassumere:
. i contatti con Vito Ciancimino da parte del Ros furono “improvvidi”;
. il modo di procedere di Mori e De Donno fu “discutibile e poco rispettoso delle procedure”;
. i Carabinieri del Ros avevano una “visione ipertrofica” della propria autonomia”;
. la “corrente moderata” di cosa nostra, quella di Bernardo Provenzano, fu favorita per potere combattere la fazione di Salvatore Riina. Accetto, ovviamente, il verdetto emesso, e quindi devo prendere anche atto delle valutazioni che ad esso sono collegate. Poiché non pretendo di contestare le decisioni della magistratura giudicante, mi permetto di fare solo alcune osservazioni che esprimono la mia posizione in relazione alle vicende che mi hanno visto protagonista.

Questo procedimento è giunto alla sentenza a circa trenta anni dai fatti che era chiamato a valutare, e l’Italia di oggi non è certamente quella della fine del secolo scorso. Molto è cambiato, in particolare per quanto attiene alla situazione dell’andamento della sicurezza pubblica nel cui ambito si sono sviluppati i fatti processualmente esaminati.

Il dibattimento, che ha avuto come sfondo aspetti complessi della vita nazionale, ha dovuto affrontare e giudicare le azioni dei protagonisti della vicenda penale che non poteva prescindere dal contesto in cui costoro erano stati chiamati ad operare.

Per questa considerazione ritengo che, nell’ampio esame compiuto dai giudici dei fatti direttamente o indirettamente connessi al mio operato, sarebbe stata necessaria un’analisi dello scenario di riferimento più ampia di quanto è avvenuto, oltre alla presa in considerazioni di sentenze connesse già passate in giudicato che, forse, avrebbero consentito di meglio inquadrare l’operato mio e dei miei dipendenti.

Si era riproposta nella fase temporale oggetto del giudicato, addirittura accentuandosi con i tentativi di delegittimazione e poi con gli assassini di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, quella situazione che già pochi anni prima aveva provocato tante morti eccellenti, da Cesare Terranova, a Carlo Alberto dalla Chiesa, passando attraverso Piersanti Mattarella, Pio La Torre ed altri ancora.

Posta questa constatazione, ai fini di una valutazione processuale, a mio parere, non si poteva non considerare attentamente anche l’impatto delle vicende esaminate sulla pubblica opinione che, davanti alle tragiche scene di Capaci e via D’Amelio, constatava la drammatica impotenza dello Stato nel combattere il fenomeno mafioso, mai giunto a osare tanto nella storia italiana, e pretendeva una reazione adeguata da parte dell’ambito istituzionale.

Così, a mio avviso, andava sottolineato ancor più, in questo contesto, l’incerto procedere delle forze politiche, ondivaghe in quegli anni nel costante dilemma tra la ricerca dell’efficacia repressiva e il rispetto della legalità … leggi tutto

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