di Alberto Brambilla
Dopo le proposte della flat tax al 23% per tutti
– ma Salvini rilancia al 15% non si capisce se solo per le partite Iva (ma sarebbe ed è già oggi incostituzionale) o forse solo per i redditi sotto i fatidici 35 mila euro – le pensioni da mille euro al mese (costo 30 miliardi se si alzano tutte oppure circa 11 se l’aumento vale solo per le pensioni di invalidità e quelle sociali), pensioni da mille euro per 13 mesi alle mamme (altra botta da oltre 10 miliardi), pace fiscale, dote ai diciottenni e amenità varie, è arrivata la proposta di Enrico Letta: una mensilità in più ai lavoratori con la riduzione del fantasmagorico «cuneo fiscale e contributivo»; in realtà Letta è in buona compagnia con Berlusconi che ha spiegato come il centro destra, se vincesse, lo ridurrebbe enormemente.
La promessa della decontribuzione
Visto che l’imposta media annua per redditi fino a 20 mila euro è pari a soli 425 euro e che la metà degli italiani paga in tutto meno del 3% (5,1 miliardi) di tutta l’Irpef che per l’anno di imposta 2019 vale 172,562 miliardi, il Pd con il plauso di industriali e sindacati, si è buttato sulla decontribuzione promettendo addirittura una 14° mensilità, incuranti del fatto che per garantire la sola sanità a questa metà di connazionali qualcuno deve mettere sul piatto 52 miliardi l’anno cioè la differenza tra il costo pro capite della sanità (1.930 euro nel 2019) e quello che pagano di Irpef; tutto il resto e tutti i servizi, scuola compresa sono letteralmente gratis a debito o a carico di quel 13,07% che definisco i nuovi schiavi, cioè quelli che dichiarano più di 35 mila euro di reddito e che pure l’ottimo governo Draghi ha escluso da qualsivoglia beneficio: pagano e basta perché «ricchi».
La proposta del Partito democratico
Ma analizziamo la proposta Pd: il contributo previdenziale a carico dei lavoratori dipendenti è pari al 9,19% della retribuzione annua lorda (RAL); per un reddito di 15 mila euro lordi l’anno tale contributo è pari a 1.378,5 euro mentre la retribuzione per 13 mensilità è pari a 1.153,8 euro al mese, quindi per garantire una mensilità in più occorrerebbe uno sconto di 7,5 punti di contribuzione (quasi tutta)!
Visto che l’Irpef effettiva per questi redditi è pari a zero e che nessun politico o sindacalista ha il coraggio di dire a questi italiani che, pur non pagando un euro di tasse, hanno tutto gratis: sanità, scuola, assistenza, amministrazione, viabilità e così via, si promette ciò che è irrealizzabile, pena il disfacimento del sistema pensionistico italiano (altro che i danni, grandi, di quota 100).
Infatti, per questi circa 9 milioni di dipendenti uno sconto sul monte redditi del 7,5%, costerebbe 6,24 miliardi strutturali l’anno; se poi il Pd vuol dare una mensilità in più anche ai redditi tra 15 e 20 mila euro deve prevedere altri 2,5 miliardi e se vuole estenderlo ai redditi tra i 20 e i 29 mila euro, altri 10,42 miliardi; totale 19 miliardi che raddoppierebbero il disavanzo Inps.
Cos’è il cuneo fiscale e contributivo
Ma cos’è il «cuneo fiscale e contributivo»: in pratica è la differenza tra lo stipendio netto in busta paga e il costo sostenuto dall’azienda che comprende imposte e contributi pagati da lavoratori e imprese e anche i cosiddetti «istituti contrattuali» che gravano sul costo del lavoro.
Prendendo ad esempio un lavoratore con un reddito fino a 25 mila euro, rappresentativo di oltre il 75% dei lavoratori italiani, fatto 100 quello che prende in busta, il nostro lavoratore paga il 9,19% circa in contributi pensionistici e sul restante 90,8%, in media i 425 euro annui di Irpef cioè 32 euro al mese con deduzioni e detrazioni; restano 88 euro.
Come abbiamo detto però, secondo i dati del Mef, i redditi fino a 15 mila euro non versano imposte mentre quelli da 15 a 20 mila euro (altri 3 milioni) versano un’imposta media insufficiente persino per pagarsi la sola spesa sanitaria pro capite (1.930 euro); solo gli altri 3 milioni di lavoratori con redditi tra 20 e 25 mila euro pagano una imposta che è però ancora insufficiente per pagarsi la spesa sanitaria per sé e per le persone a carico.
Il 100 in busta pagato del lavoratore, al datore di lavoro costa circa 130/135 per via dei contributi previdenziali versati all’Inps (23,8), per le prestazioni temporanee all’Inps (malattia, maternità, disoccupazione ecc.) e all’Inail per l’assicurazione contro gli infortuni. La differenza tra netto e costo azienda è pari a 1,53 volte (135 su 88) … leggi tutto