La surreale guerra del Pd per perdere le elezioni e dare la colpa a Renzi e Calenda (linkiesta.it)

di

Prima il partito

I democratici di Letta sono feroci nell’attaccare chiunque sia vicino al draghismo o al renzismo per regolare vecchi conti, ma diventano mansueti e silenziosi quando si parla del passato sovranista di Di Maio o dei tweet antisionisti dei suoi dirigenti

Nel Partito democratico sono ipercritici ed esigenti con chiunque sia in odore di renzismo e di draghismo. Non si sono fatti bastare riallineamenti e mezze abiure per risparmiare ai sospettati l’esclusione dalle liste o la penitenza di candidature impossibili, ma a quanto pare sono molto più indulgenti sui peccati di gioventù degli astri nascenti della sinistra anti-liberista, beccati a bazzicare i bassifondi dell’antisemitismo social.

Quindi se il favore al taglio dei parlamentari non è servito a Stefano Ceccanti per essere candidato e il sostegno alla religione del campo largo ha fatto ottenere a Vincenzo Amendola soltanto una candidatura di terza fascia, per conservare il suo seggio sicuro al giovane segretario del Pd della Basilicata, Raffaele La Regina, è stato sufficiente scusarsi per le «parole sbagliate».

Del resto aveva solo postato un meme che irrideva chi davvero credesse nella legittimità dello stato di Israele e ha vergato un post in cui affermava che Gerusalemme è occupata illegalmente dagli israeliani: che sarà mai.

È anche vero che ieri dilagavano le gesta del capo di gabinetto universale del potere democratico romano, prima di Nicola Zingaretti, oggi di Roberto Gualtieri, domani di chissà chi e quindi le dimissioni di Albino Ruberti hanno forse corrisposto quella minima quantità di espiazione richiesta a un partito che tiene sempre molto, anche in mezzo alla bufera, ad apparire serio, diverso e perbene; però l’impressione è che il caso La Regina sia stato chiuso un po’ sbrigativamente visto che – candidatura o non candidatura – racconta molto del subconscio politico di una parte della sinistra.

Accontentarsi di incassare, con valore retroattivo, un sostegno alla causa israeliana da parte di La Regina non è uguale ad accettare che tutti i post-camerati della destra italiana attestino la propria indiscutibile fede democratica semplicemente pronunciando un equivoco parce sepulto sulla propria storia passata?

Perché se Giorgia Meloni deve rispondere (e sempre dovrà rispondere) del «Mussolini è stato un buon politico e ha fatto tutto per l’Italia», pronunciato a 19 anni, perché gli altri, anzi “i nostri” no?

Queste differenti misure che il Pd applica alla sincerità della resipiscenza degli “ex cattivi”, al proprio interno come al proprio esterno, ha una manifestazione addirittura comica nel credito riconosciuto all’antiputinismo da combattimento del ministro Luigi di Maio, che si è autoeletto a difensor fidei della Nato e dell’Europa e dopo qualche energica centrifuga nella lavatrice trasformistica tabacciana ora sembra pronto – chissà che il Pd non gliel’abbia promesso – ad ambire alla successione di Jens Stoltenberg.

Eppure è lo stesso Di Maio che faceva il capo politico di un partito che un anno prima di Salvini, nel 2016, era volato a Mosca, col prode Manlio Di Stefano, a fare un patto di ferro con Russia Unita; che dall’invasione del Donbas e dall’annessione della Crimea aveva continuato a chiedere che l’Italia annullasse le sanzioni verso Mosca; che da vice presidente del Consiglio del Governo Conte I aveva proseguito sulla stessa strada e che da ministro degli Esteri del Governo Conte II aveva provato a spingersi anche più in là, distribuendo carrettate di onorificenze al merito della Repubblica a gerarchi e faccendieri della cerchia putiniana

E rimane indimenticabile la sua regia della missione “Dalla Russia con amore” e la calorosa accoglienza riservata ai militari russi che avrebbero iniziato a girare per l’Italia con la scusa di salvarci dal Covid.

Perché il Pd non chiede conto a Di Maio di tutto questo, perché non gli fa notare l’inopportunità e l’incongruenza della sua militanza mediatica occidentalistica, che è ridicola fatta così, semplicemente cambiando la maschera di scena, senza parole, pensieri e ammissioni sugli errori e sulle colpe del recentissimo passato?

La spiegazione di questa intransigenza a targhe alterne è che, anche in questo caso, come troppo spesso in passato, nell’ora segnata dal destino a sinistra i meriti e le colpe non si contano, ma si pesano, e non si giudicano, ma si predeterminano, a seconda che facciano mucchio dal lato del partito o da quello dei suoi nemici … leggi tutto

(@jiangxulei1990)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *