La ‘civiltà’ del sapone: la costruzione di un immaginario razzista (valigiablu.it)

di Federico Faloppa

Pubblichiamo un estratto del libro Sbiancare 
un etiope. La costruzione di un immaginario 
razzista (UTET), 

scritto da Federico Faloppa e uscito il 30 agosto. I brani riportati sono presi dalla “Nota dell’autore” e dal capitolo 7 “La civiltà del sapone”.

Nota dell’autore

Nelle pagine che seguono la nword, tanto in italiano quanto in altre lingue, comparirà spesso. Questo perché ho deciso di non modificare o censurare la parola per non alterare i testi originali, storicizzati e contestualizzati, nei quali è inserita. Come è noto, è in corso da anni, anche in Italia, un dibattito importante sulla necessità o meno di riprodurre la nword, anche solo a fine documentario, didattico, o in funzione metalinguistica; anche soltanto tra virgolette in forma di citazione.

Questo dibattito è giustificato dalle connotazioni offensive e spregiative che il significante porta con sé. È un significante che infatti io non pronuncio mai, neppure quando devo riferirmi alla nword per criticarne l’uso, o per raccontarne – come faccio spesso, da linguista – la storia e le vicende. Ho imparato infatti che pronunciarlo, anche con intenti antirazzisti o semplicemente metalinguistici (durante una lezione o una conferenza) può ferire chi mi ascolta.

E che, malgrado le mie migliori intenzioni, posso involontariamente replicare tutta la carica di dileggio e di violenza dei significati che il significante veicola. Ciò che infatti in un contesto può apparire didattico o “militante” a me, può invece apparire offensivo ad altre persone. Ed è giusto – e doveroso – prenderne atto. Senza contare che pronunciare la nword mi infastidisce comunque, perché in italiano si tratta oggi di una parola usata quasi sempre con l’intenzione di offendere sulla base di motivi “razziali” o, meglio, razzisti.

L’oggetto principale di questo libro è tuttavia proprio lo studio della nword in diacronia, attraverso l’analisi di testi contenenti lo pseudosinonimo “etiope”, e non solo. Ho scelto quindi, consapevolmente ma non senza interrogarmi, di riportare nella loro interezza e senza censure esempi e citazioni, proprio per restituire a chi legge le fonti nella loro interezza, sia quando riprodotte fedelmente sia quando tradotte da me. So che si tratta di una scelta problematica, che non convincerà tutti. E chiedo scusa alle persone che la troveranno inopportuna, se non offensiva.

Ma so anche che è compito e lavoro dello storico, e del filologo, riprodurre i testi, proprio per indagarne la lingua e il lessico (i suoi usi e contesti, i suoi slittamenti semantici). E per restituire, oggi, storie e vicende nella loro articolazione e complessità, proprio per tentare di coglierne i lasciti e gli strascichi. Senza di ciò, non si comprenderebbe appieno, d’altronde, neppure la sensibilità o l’idiosincrasia attuale verso certe forme e certe parole, né il loro portato emotivo, sociale, politico.

La ‘civiltà’ del sapone

[…] Era l’Africa tutta, e non soltanto il Marocco, a doversene stare al proprio posto, sottomessa per mezzo di un controllo politico e militare diretto, o “protetta” per mezzo di ingerenze economiche e militari da parte delle potenze europee.

E i consumatori europei potevano – anche grazie all’uso del sapone – continuare a considerarsi superiori distinguendosi da quegli infantili e rozzi selvaggi. Disegnata da Edouard Bernard nel 1910 circa, l’affiche per il Savon La perdrix, «il sapone economico che sbianca tutto», raffigura in un contesto coloniale un nativo africano con le labbra gonfie, i piedi enormi, l’espressione ebete, e gli abiti da “primitivo”.

Con sguardo svanito e stupito, l’uomo prende un blocco di sapone da una cassa spedita in Africa da Bordeaux, e con esso si sbianca il braccio sinistro, sotto lo sguardo attento di una pernice, la perdrix che dà il nome al prodotto … leggi tutto

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