di Mario Lavia
Il patto di carta
Fratoianni e Bonelli si sono offesi perché il Pd non li considera veri alleati politici, evidentemente si erano illusi di esserlo quando hanno fatto saltare l’accordo con Calenda. L’ennesimo pasticcio di una strategia amatoriale
Ci si sorprende dell’affermazione di Enrico Letta che ha escluso la presenza di Nicola Fratoianni al governo se il Pd vincesse. Ma perché? In effetti il segretario del Pd con i rossoverdi non firmò un patto di governo (quello lo aveva siglato il giorno prima con Carlo Calenda) ma un pezzo di carta per far fronte comune contro la destra: non un patto “per”, dunque, ma un patto “contro”, e come tale un patto senza senso soprattutto considerando che ne venivano preliminarmente esclusi il M5s e Italia viva (il famoso «Renzi fa perdere voti» insufflato da Nazareno alle redazioni dei giornali).
Come spesso accade, le macchinazioni si rivolgono contro chi le fabbrica, e persino nella politica italiana non è detto il gioco delle tre carte riesca: Letta ha immaginato un accordo di governo più un patto anti-destre, non ne poteva venir fuori che un tremendo bisticcio, un obliquo patteggiare, una disinvoltura manovriera. Di cosa ci si meraviglia dunque?
A quanto pare molti elettori del Pd e anche alcuni osservatori non avevano colto la natura diciamo così puramente ostruzionistica dell’intesa con Bonelli e Fratoianni ma la cosa più stramba è che non se fossero accorti nemmeno i due capi del “cocomero” che si sono visti relegati nel girone di serie B in diretta su internet (Letta ha pronunciato la scomunica durante il noioso duello con Giorgia Meloni sul sito del Corriere della Sera).
Per come l’ha detta, cioè con grande nonchalance, al segretario è parso dunque un’ovvietà dire che i rossoverdi, portatori di una cultura del “no” difficilmente compatibile con l’azione di un governo riformista di un Paese moderno, debbano stare all’opposizione anche nel caso in cui il Pd riuscisse a formare una maggioranza con Giuseppe Conte e/o con Carlo Calenda – stiamo parlando di ipotesi puramente teoriche, data l’incompatibilità fra i due suddetti. Dopodiché i capi rossoverdi si sono offesi: «Non siamo qualcosa di cui vergognarsi», ha protestato Bonelli.
Evidentemente non avevano capito neanche loro o forse da parte del leader del Pd non gli era stato chiarito che il pezzo di carta non rappresentava certo un’alleanza strategica, come si diceva ai tempi in cui Giuseppi era il possibile “federatore” di dem&grillini, ma solo un’alleanza elettorale, così, tanto per fare gruppo come nelle serate d’estate e far vedere che il Nazareno proprio solo non era.
Ma quindi non si è capito bene a cosa serva quel pezzo di carta siglato con i rossoverdi: non serve a una futura ipotesi di governo e nemmeno, state le loro ridotte dimensioni, a vincere nei collegi. Quindi: boh. Perso dunque un altro pezzetto per un’ipotesi di governo la tentazione forte è di ritrovarsi abbracciati con il partito di Conte, il quale per la verità ha lo stesso obiettivo ma non con questo gruppo dirigente, semmai con un Pd diretto da Andrea Orlando e Peppe Provenzano con il piccolo aiuto degli amici Francesco Boccia e Michele Emiliano, la coppia pugliese pronta a fare da sponda con il foggiano avvocato del populismo.
Addirittura Emiliano, dopo l’elevazione della Puglia a Stalingrado anti-Meloni, parlando con il Fatto ha invitato gli elettori nei collegi pugliesi in bilico «a votare Pd o M5s non importa», un’indicazione che certo al Nazareno avrà fatto storcere parecchi nasi, mentre il Pd sta teorizzando che sia una bene che i contian-grillini crescano al Sud perché togliendo voti alla destra rimetterebbero in gioco i dem: ma dove sta scritto che Conte, ora che è in veste di Masaniello, non stia rubando voti proprio al Pd? … leggi tutto