E infine Bowie capì che la vita è caos (doppiozero.com)

di Daniele Martino

David Bowie è morto il 10 gennaio 2016: 

nell’anno successivo sono usciti vari documentari (al Festival di Cannes 2022 è stato presentato Moonage Daydream di Brett Morgen, una “cinematic experience”, nelle sale italiane per qualche giorno a fine settembre), mostre, libri per assestarne il mito:  nel primo anniversario il Saggiatore pubblicò una raccolta di interviste, di cui abbiamo scritto qui.

Ora lo stesso editore torna con un librino in cui un anonimo editor da rimontato per temi un altro gruppo di intervista rilasciate dall’artista nel tempo a “New Musical Express”, “Melody Maker”, “ZigZag”, “Mojo”, “Time Out” “Ikon”, “Q”, “Rolling Stone”, “The Face”, “Filter”, “The Word”, nei bei tempi in cui anche in Italia pullulavano le riviste stampate sulla musica.

Gli intervistatori erano orientati a definire con lui lo stile musicale più che l’iconografia scenica e mondana dell’icona pop, lo Ziggy Stardust, il Duca Bianco, la Stella Nera, eccetera. Adoperandomi perché Franco Battiato venga nel tempo considerato uno dei grandi artisti multiversi italiani del Novecento, come Pasolini, a sei anni dalla morte di Bowie comincio a conoscere e stimare quella di Bowie come una delle grandi produzioni di pensiero artistico di fine Novecento.

Entrambi nel loro privato amavano dipingere, entrambi hanno espresso una visione del loro tempo, Battiato molto nei testi, vera opera poetica complessiva, Bowie in modo più sensoriale, più sesto senso, più “astrale” come lui desiderava essere specie negli ultimi anni della sua vita.

Entrambi hanno attraversato una stagione di composizione elettronica che li ha fondati come compositori, oltre che abili creatori di canzoni pop. Bowie non ha mai dato molta importanza ai suoi testi, spesso insensati per intenzione, ma la sua musica – come dice in varie di queste interviste raccolte in Essere ribelli (il Saggiatore 2022) testimonia con qualche anno di ritardo vere e proprie ere dell’espressione artistica del Novecento: su tutti gli altri lo ha influenzato William S. Burroughs, con una letteratura schizzata dall’LSD, e più in generale lo spirito esistenziale ramingo, apolide della Beat Generation; ricorda Aldous Huxley che sul letto di morte decise di farsi di LSD per morire in colorate allucinazioni.

Bowie filosofo

Più volte, raccontando le overdose, i giri di valzer con la morte («Io amo la morte»), la sua noia abissale per la vita («Mi sono sempre sentito tappezzeria della vita»), le depressioni al fondo della tossicodipendenza, la stagione in cui ha tentato di placarsi con la meditazione, le fasi alcoliste, Bowie si avvicina alla formulazione ex post di una visione filosofica della vita sua e nostra di esseri umani caduti sulla Terra: «Sto cercando di fare di me stesso il messaggio» (citando McLuhan), «Temo di esserlo, un pessimista.

Spero che si possa trovare un qualche conforto nella compassione per le persone e per le situazioni stupide e disperate in cui si cacciano»; straordinaria questa intuizione, attualissima: «La gente non riesce a far fronte alla quantità di cambiamenti che avvengono nel mondo. Accade tutto troppo in fretta… c’è questa spirale ascendente a cui la gente tenta disperatamente di aggrapparsi, e ora tutti hanno iniziato a staccarsi. E le cose peggioreranno». La folgorazione finale la svela a Mikel Jollett di “Filter” nel 2003: «Non ci servono novità. Non ci servono! Penso che saremo molto più felici quando riusciremo ad accettare che la vita è caos. Non c’è alcuno schema. Non c’è alcun disegno. Non ci stiamo evolvendo. Dobbiamo trarre il meglio da ciò che abbiamo. E se riuscissimo ad accontentarci di questo, forse vivremmo più serenamente» … leggi tutto

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