“Il Pd è fallito con queste facce scompariremo” (lidentita.it)

di Edoardo Sirignano

“Quando un’azienda fallisce, il capo e tutto 
il Cda va a casa. 

Nel nome di una finta pacificazione, si dà voce agli artefici del fallimento. Fino a marzo, se non c’è una rivoluzione il Pd scomparirà”. A dirlo Lorenzo Pacini, segretario dei Gd lombardi e tra i promotori dell’evento che ha scatenato l’ira della classe dirigente dem.

Dopo il 25 settembre, qualcuno dice che avete le ossa rotte. È davvero così?
“Al nostro partito manca la spina dorsale. Le ossa non ci sono. Questa è la verità. È normale perdere in democrazia, anche se noi lo facciamo spesso, anzi quasi sempre, quando si parla di nazionale. Il vero scandalo, però, è che nonostante ci sia stata una sconfitta, non ci siano stati passi indietro. Dal segretario in giù, nessuno ha detto ho sbagliato. Si è convocato, al contrario, un congresso, basando tutto, ancora una volta, su chi ha dimostrato di non essere legittimato dal popolo”.

A proposito di congresso, è stata data ai ragazzi la possibilità di esprimersi?
“Non c’è un nome indicato dai giovani. Detto ciò, tra le nuove generazioni, tra gli amministratori, tra chi si è fatto il mazzo per il Pd, pur non avendo voce a livello centrale, ci stiamo vedendo e confrontando per capire cosa fare in futuro”.

Anche alle ultime politiche, intanto, è stato dato poco spazio a chi ha meno di 40 anni…
“Partiamo dal presupposto che, questa volta, le liste erano migliori rispetto a quelle del 2018. Diciamo che si è contenuto il fenomeno dei paracadutati. Il problema vero è che ogni possibile rinnovamento è stato messo da parte. Abbiamo il 90% dei parlamentari dem che sono uscenti e rientranti. Il taglio di deputati e senatori ha finito col penalizzare solo le nuove energie. Non si è data la possibilità a tante persone, che volevano portare un contributo, una nuova linfa, di mettersi in gioco”.

Stiamo parlando di un partito che blocca quei giovani che non sono frutto del laboratorio dem, dei meandri delle chat…
“Bisogna superarle queste logiche, ma servono gli strumenti. Il vero problema è che dovrebbero essere i territori a scegliere i propri rappresentanti. Lo dice la Costituzione. Basta calare nomi da Roma. In questo modo, si demotivano le persone”.

In quale candidato, tra i vari nomi che circolano per il dopo Letta, si riconosce?
“Non ci sono ancora ufficialità. L’unica ad aver sciolto le riserve è Paola De Micheli, in cui certamente non posso riconoscermi. Al momento, non c’è un profilo che rispecchia le mie idee. Posso parlare al massimo di qualche figura interessante, come Elly Schlein”.

La strada giusta per cambiare è una rottamazione 2.0?
“Renzi ha utilizzato questa parola magica per far fuori i propri nemici. Preferisco parlare di rivoluzione, ovvero cambiare il modo di fare politica, premiando merito e rappresentatività”.

Valori che non possono prevalere laddove dominano i jurassici dem, come più di qualcuno definisce i capi delle varie correnti…
“Questo è il macigno che si abbatte su questo mondo. Abbiamo Piero Fassino ancora in Parlamento. Perché deve essere lì, mentre un trentenne che da anni fa militanza, deve vedere Roma solo dalla tv? Bisogna superare il concetto dei tre mandati obbligatori. Finanche il Pc era riuscito a superare tale regola”.

È favorevole all’intesa con i 5 Stelle?
“Serve allearsi con tutti quelli che ci stanno su un campo valoriale, Movimento o Calenda che sia. Se quest’ultimo viene meno, non ci mettiamo a piangere. La verità, però, è che il Pd deve prima capire cosa vuole essere da grande”.
La scelta di Conte di attestarsi come uomo della piazza è risultata vincente?
“I 5 Stelle sono nati lì. Il tema è che in strada dovevamo starci pure noi. Il Pd è di sinistra. Si è preferito, al contrario, chiudersi nei salotti, nelle Ztl”.

Mentre ci sono diversi nodi aperti, al Nazareno c’è chi litiga per andare al Copasir. Non si rischia, in questo modo, di allontanare i militanti?
“Un partito deve riuscire a gestire il posizionamento su cariche fondamentali delle istituzioni democratiche, farlo nel modo migliore possibile. Non può essere, però, questa la linea politica. Occorre parlare quanto prima a quel popolo di centrosinistra che ci ha votato a malincuore o peggio ancora non lo ha fatto. La priorità non dovrebbe essere chi piazzare al Copasir, ma capire come far star meglio famiglie che si impoveriscono ogni giorno che passa a causa delle bollette”.

Ha mai pensato a una piattaforma tipo Rousseau per rianimare la creatura dem. In cosa consiste la sua rivoluzione?
“Un processo democratico per cui la classe dirigente venga scelta dal basso. Il peso degli iscritti deve prevalere. Servono referendum, anche online, sulle scelte di posizionamento. Una dirigenza, quando perde, deve andare a casa. Il Pd ha già gli organi democratici per farlo. Il problema è che non vengono mai convocati”.

Come cambiare, quindi, la rotta?
“Letta, la segreteria, tutti, dovevano fare un passo indietro subito dopo le elezioni. Se continuiamo a mandare in tv chi è stato bocciato dagli italiani, il Pd a marzo non esisterà più”.

Un esempio le critiche ricevute dalla Serracchiani sulla Meloni…
“Nel nome di una finta pacificazione si dà voce agli artefici del fallimento. Non funziona così. Quando un’azienda fallisce, il capo e tutto il Cda si dimettono. Nel Pd accade il contrario”.

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