L'intervista. Parla lo scrittore bolognese, autore di «L’inverno più nero», Einaudi.
Nel romanzo, il commissario De Luca, eroe riluttante, si confronta con un’epoca che impone chiare scelte di campo. «In un Paese che non ha fatto fino in fondo i conti con il passato, raccontare storie lontane significa misurarsi con la realtà odierna. La “metà oscura” dell’Italia è sempre quella. O quasi»
«Pensava che anche se l’avesse fatto davvero un buco nel materasso e ci avesse infilato dentro la testa non sarebbe riuscito comunque a togliersi dalle orecchie il gorgogliare del sangue, l’odore di urina e di muffa dal naso, tutto quello schifo, quella paura e anche quella vergogna dallo stomaco.
Che non c’era più una direzione in cui voltarsi perché quel gelo livido e marcio, quell’aria gonfia che lo soffocava, erano dappertutto, e non bastava girare lo sguardo per evitarle. Se lo sarebbe portato dentro per sempre, quell’inverno. Quell’inverno così ruvido e freddo. Cosí nero».
È nella Sperrzone di Bologna, il centro della città sorvegliato dai tedeschi in armi e popolato da una folla di sfollati costretta ad inventarsi ogni giorno qualcosa per sopravvivere, che il commissario De Luca, in forza al Nucleo Autonomo di Polizia Politica deve indagare su tre omicidi le cui cause si riveleranno ben diverse da quanto emerso dai primi indizi. Intorno, la violenza della Brigate Nere spalleggiate dalle SS, le azioni partigiane a cui partecipa anche un nuovo collega al quale il commissario guarda con sospetto ma anche con grande stima e la disperazione collettiva per le sofferenze che accompagnano, nel dicembre del 1944, l’annuncio degli ultimi selvaggi rantoli del fascismo di Salò … leggi tutto