In Serbia la difficile convivenza fra russi e ucraini dopo la scoperta del massacro di Bucha (valigiablu.it)

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Intrappolati tra la paura di essere spediti 
in guerra e la repressione per opporsi ad essa, 
migliaia di cittadini russi hanno abbandonato il paese negli ultimi otto mesi. Il flusso è drasticamente aumentato nei giorni successivi alla mobilitazione parziale annunciata da Vladimir Putin il 21 settembre. A causa della chiusura dello spazio aereo dell’Unione Europea agli aerei russi e della decisione della stessa UE di limitare la concessione dei visti ai cittadini russi come punizione per l’invasione dell’Ucraina, le destinazioni per dissidenti e disertori del regime sono ridotte.
Coloro che vivono a San Pietroburgo e dintorni hanno provato a raggiungere, principalmente in macchina, la Finlandia. Lo stesso vale per le persone residenti vicino ai confini meridionali che hanno tentato di entrare nella fascia di paesi che va dal Caucaso (Georgia, Armenia e Azerbaigian) alla Mongolia. Tra coloro che invece hanno scelto e potuto permettersi di acquistare un biglietto aereo, la meta più gettonata è stata la Turchia, anche solo come luogo di transito. Come segnalava Flightradar24 il 22 settembre, il 25% dei voli internazionali dalla Russia nel 2022 era diretto in Turchia.

La storia di Katya Khazina

Per molti, però, rimanere troppo vicino alla Russia non era un’opzione rassicurante. Così migliaia di russi hanno scelto la Serbia, più precisamente la sua capitale Belgrado. “Ho sempre ottenuto il visto Schengen per i miei viaggi ed ero completamente sicura che una volta arrivata in Serbia sarei potuta andare in un’ambasciata [di un paese dell’UE] a richiederlo, ma non è stato possibile”, racconta Katya Khazina, 34enne attivista con un passato a Memorial, un’organizzazione che si occupava di repressione in URSS e nell’attuale Russia e che il 28 febbraio è stata liquidata dalla Corte Suprema russa.

Per Khazina i primi giorni successivi all’aggressione dell’Ucraina sono trascorsi tra pianti e proteste. Dopo circa una settimana dall’inizio dell’invasione è fuggita da Mosca insieme al compagno e ad alcuni dei loro migliori amici. Hanno acquistato un biglietto aereo per l’Armenia e successivamente si sono spostati in Georgia, dove Khazina e il compagno si sono sposati quasi furtivamente.

Preoccupati che tutti i paesi europei potessero chiudere i confini ai cittadini russi hanno preso un volo per Belgrado, dove risiedono da marzo. Qui possono soggiornare senza visto per un massimo di trenta giorni, motivo per cui ogni mese oltrepassano il confine con la Bosnia Erzegovina, raggiungono la città di Bijeljina e rientrano a Belgrado.

Il governo serbo stima che circa 45mila russi siano entrati in Serbia a partire da febbraio, tant’è che si possono captare conversazioni in russo in ogni angolo della capitale. Di questi, circa 4000 avrebbero fatto domanda per ottenere il permesso di soggiorno. Inoltre, sarebbero più di 1000 le aziende aperte da cittadini russi, principalmente nel settore informatico. A causa delle limitate possibilità di spostamento, è sostanzialmente in corso lo sviluppo di una nuova comunità, che prima dell’inizio del conflitto in Ucraina contava 3247 individui stando al censimento del 2011.

“La decisione dell’UE di non concedere visti ai cittadini russi è una misura inumana che colpisce anche chi si oppone alla guerra e vorrebbe cercare rifugio altrove”, accusa Khazina, che sottolinea come ci sia un grande stigma nei confronti del movimento di protesta russo, che è molto sottovalutato.

“L’UE ha affermato di aver lasciato aperta la possibilità di richiedere un visto umanitario ai russi che ne hanno davvero bisogno, ma la realtà è che il procedimento non è per nulla chiaro,” dichiara Khazina. “I giornalisti e i cittadini occidentali con cui parlo non sanno delle torture che chi protesta in Russia subisce una volta in carcere.

Le persone vengono arrestate per aver messo like a un post su Facebook o per aver indossato pantaloni gialli che ricordano vagamente la bandiera dell’Ucraina”, dice, ricordando come, dopo l’annuncio della mobilitazione, l’unico sostegno sia arrivato da iniziative orizzontali interne al paese, per la maggior parte lanciate da movimenti femministi. “Non vedo segnali di aiuto significativi provenienti dall’esterno.

Capisco che sostenere finanziariamente i dissidenti russi non è nell’interesse dei governi europei, ma questo porta solo a normalizzare una discriminazione generalizzata verso l’intera popolazione. Si accusa i russi di non protestare, ma noi stiamo protestando e dovrebbero supportarci” … leggi tutto

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