Liliana e i no vax

di Massimo Gramellini

Si fa fatica a capire perché una donna mite e 
conciliante come Liliana Segre abbia dovuto 
trascorrere l’intera vita a ripararsi dall’odio. 

Gli ultimi a detestarla, in ordine di tempo, sono i no vax che le augurano la morte sui social. Nei mesi scorsi uno di loro era arrivato a definirla in pubblico «una donna vergognosa che dovrebbe sparire».

Ma che cos’ha mai fatto di male, la senatrice sotto scorta, oltre a mettersi in coda per il vaccino e indossare la mascherina come milioni di altri anziani giustamente preoccupati degli effetti di un virus che stava mandando molti di loro al Creatore?

Non si sa. Forse avrebbe dovuto aggirarsi per i vagoni della metropolitana di Milano starnutendo in faccia ai pendolari? Nelle teste di certi fanatici scorre un film dell’assurdo: la Segre, in quanto ex deportata, aveva l’obbligo morale di riconoscere nei no vax i legittimi eredi dell’Olocausto, mettendo la sua tragedia a disposizione di una farsa.

Quel che più colpisce, in questa disfida surreale, è il profondo squilibrio di ironia tra le parti in causa. Mentre i complotto-vittimisti che maledicono la Segre si prendono terribilmente sul serio, il bersaglio dei loro improperi si protegge con un’arma di difesa che gli altri ignorano: il senso dell’umorismo.

A quelli che ancora ieri le auguravano di morire tra atroci tormenti, la senatrice ha risposto: «Ho 92 anni, portate un attimo di pazienza».

Poi, dopo 92 anni, si è finalmente rotta le scatole e li ha denunciati.

(Markus Spiske)

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