Intervista a Fairborz Kamkari autore di diverse opere nelle quali le donne sono protagoniste del cambiamento.
«Si rischia una guerra civile come in Siria»
L’Iran è scosso da più di un mese dalla rivolta contro gli Ayatollah. Un movimento guidato dalle donne scese in strada dopo la morte di Mahasa Amini, arrestata dalla polizia morale per un velo indossato in maniera considerata contraria alla legge. Ne parliamo con il regista iraniano, di origine curda, Fairborz Kamkari autore di diverse opere nelle quali le donne sono protagoniste del cambiamento.
Nel 2010 lei ha girato il film I fiori di Kirkuk. Una storia ambientata nel momento della repressione del popolo curdo da parte del regime di Saddam Hussein. La protagonista di quella storia era una donna che per amore deve affrontare sia la difficile situazione politica sia la violenza di un mondo militare e maschilista. È un riferimento a quello che sta succedendo in questo momento in Iran?
In tutti i miei film io affronto il tema centrale della responsabilità personale. Quando i cittadini si assumono il compito di cambiare le cose in prima persona. Spesso sono proprio le donne, i cui diritti sono negati, a portare avanti questo compito. Raccontare questo attraverso un personaggio femminile del mondo islamico e un modo per raccontare tutta la società. Un contesto dove esistono cittadini di varie estrazioni sociali secondo la vicinanza che hanno con il potere. Tramite le donne, le più vessate e lontane dai vertici, dunque parlo di tutto ciò.
Quindi come interpreta quello che sta succedendo in Iran attualmente?
Da quando è stato instaurato il regime teocratico le donne iraniane vedono calpestati e negati i loro diritti. Il paradosso è che ad esempio nell’Università la maggioranza degli studenti è costituita da donne, i maschi sono una minoranza, 900mila contro ben 1milione e 300mila. Quando si analizza il mondo del lavoro però la situazione si ribalta.
Come spiega questo?
È dal 1979 (anno della rivoluzione degli Ayatollah ndr) che lo status politico e sociale delle donne viene negato. Il regime le vuole chiuse in casa ad occuparsi solo dei figli. Con le giovani generazioni, molto istruite appunto, tutto questo sta cambiando.
Una questione generazionale. Basta questo per comprendere il protagonismo femminile attuale in Iran?
Non solo. Bisogna risalire a prima del 1979, quando venne attuato un cambiamento costituzionale teso a sottrarre potere al clero islamico che consentì alle donne di avere più poteri all’interno della società. Questo ha lasciato nel mondo delle donne la spinta a lottare per i propri diritti, come sta succedendo ora. Un retaggio culturale che sta quindi creando molti problemi al regime. Il mondo femminile dunque era ed è talmente forte ed istruito che il governo degli Ayatollah ha paura, ad esempio e stato costretto ad emanare una legge che garantisce una quota fissa per gli uomini nelle scuole e nelle università.
A causa dei temi che affronta nelle sue opere lei non può tornare nel suo paese, però recentemente ha scritto un romanzo che si intitola Ritorno in Iran. Sicuramente ha notizie di prima mano ma come si immagina l’atmosfera che si sta vivendo?
Sono tornato l’ultima volta dieci anni fa, ma nel romanzo parlo dell’ oggi. Si tratta di finzione certo, ma tutti gli elementi principali sono reali. La storia del protagonista è quella di un uomo che torna dopo una telefonata ricevuta dalla madre che aveva visto l’ultima volta ventisette anni prima in occasione di un fatto traumatico.
Una storia familiare dunque
Si, ma anche la metafora letteraria di quello che è successo con la Rivoluzione islamica che ha fatto esplodere conflitti nelle famiglie, tra uomini e donne e di cui le prime vittime spesso sono i bambini.
Ma le donne non si sono mai arrese
Certamente, ma c’è anche un altro aspetto. In Iran fondamentale è la questione curda. I curdi sono il più grande popolo del mondo senza uno stato, divisi tra Iran, Iraq e Siria. In quello che chiamiamo Kurdistan le persone vogliono una società democratica, basti pensare che nella parte iraniana esistono ancora i partiti banditi dal regime. E le donne sono più libere di partecipare alla vita della società. La stessa Mahasa Amini, dalla cui morte è partita la rivolta, era curda. E se il regime cadrà per questo sarà un fatto altamente simbolico.
E qualcosa di possibile?
La rivolta è iniziata nelle piccole città ma ora si è estesa a quelle più grandi compresa Teheran. Anche in zone tradizionalmente legate al regime si organizzano manifestazioni. Stanno scendendo in sciopero anche i lavoratori come quelli del settore importantissimo del petrolchimico. Il rischio è che il governo voglia forzare la situazione e far precipitare la situazione verso una guerra civile come è successo in Siria. Ciò che mi da speranza è che è stata eliminata ogni opposizione quindi in strada scende movimento nato dal basso senza un élite a guidarlo. Un cambiamento culturale e politico fondamentale.