La cultura e la pratica dell’evasione fiscale sono frutto di un difetto di prospettiva tra interessi personali e generali.
E siccome c’è una relazione tra economia irregolare e denaro circolante, l’uso del contante va scoraggiato, non favorito.
La dimensione dell’evasione fiscale
La cultura e la pratica dell’evasione sono frutto di un difetto di prospettiva tra interessi personali e generali, di una doppia morale e di un’etica miope che ci fanno derubricare i nostri comportamenti illeciti a innocenti evasioni.
Qualche giorno fa, l’Istat ha certificato che nel 2020 il valore dell’economia non osservata è stato di 174,6 miliardi euro. L’economia sommersa si attesta a poco più di 157 miliardi di euro mentre le attività illegali superano di poco i 17 miliardi. Rispetto al 2019, il valore dell’economia non osservata è sceso complessivamente di quasi 30 miliardi e così pure le unità di lavoro equivalenti (Ula) sono scese a 2 milioni 926 mila, con un calo di circa 660 mila. Il Covid ha ridotto transitoriamente l’economia non osservata, come ha diminuito per qualche giorno l’inquinamento.
Sono proprio le dimensioni che rendono l’evasione una questione così importante in Italia. È come per i terremoti: è un problema che noi sentiamo più di francesi o tedeschi perché sono i nostri territori quelli a rischio, non i loro. Ridurre l’evasione per noi vorrebbe dire avere salari più alti, tasse più basse, più risorse per scuole, ospedali, infrastrutture, pensioni, cura. Vorrebbe dire più lavoro, pagato meglio e più sicuro. Vorrebbe dire giustizia sociale, benessere economico e progresso civile. In altre parole, contrastare la pratica dell’evasione protegge la nostra vita, esattamente come costruire case antisismiche.
Spesso si dice che così si colpiscono solo i piccoli. Vero, l’elusione, è una pratica diffusa e forse ancor più dannosa, che ricade su tutti i sistemi impositivi europei ed è appannaggio di organizzazioni più articolate. Dobbiamo armarci sia per la nostra battaglia contro l’evasione che per una campagna europea contro le norme elusive, i paradisi fiscali, il dumping, il web, ma va evitato il “benaltrismo”.
Relazione tra denaro circolante ed economia irregolare
Giovanni Falcone diceva “segui i soldi” perché gli scambi illeciti lasciano una scia, un odore; non a caso, uno studio della Banca d’Italia sulla relazione tra disponibilità di denaro contante e attività economica irregolare si intitola “Pecunia olet”. Michele Giammateo, Stefano Iezzi e Roberta Zizza vi analizzano l’effetto dell’aumento del tetto sul contante deciso dal governo Renzi con una metodologia “diff in diff” trovando una relazione tra quantità di sommerso e quantità di banconote: l’1 per cento di transazioni in contanti in più fa aumentare il sommerso tra lo 0,8 e l’1,8 per cento.
Ovvero, il contante è un marcatore di illegalità.
Al di là di questa relazione, l’intenzione del Governo di alzare il limite al contante alimenta l’atteggiamento ondivago del legislatore rispetto alla fedeltà verso lo stato. Il diverso approccio (pare sia la decima volta che si cambia rotta) dei vari esecutivi rispetto all’evasione, ai condoni, al circolante, ai controlli, alle cartelle esattoriali è destabilizzante, poiché produce fasi alterne di rigidità e rilassamento dei vincoli tra il cittadino e lo stato.
È un tema divisivo, identitario, radicale che va sottratto alla contesa elettorale. Merita un confronto ampio e magari una consultazione referendaria per determinare quale assetto assumere, consolidarlo e renderlo non più negoziabile.
Il consenso verso il denaro elettronico era già ampio nel 2014: dall’indagine Isfol Plus si ricavava come il 60 per cento delle persone (il 65 con gli indecisi) fosse favorevole ad abbandonare il denaro contante per passare a quello elettronico.
L’istruzione era la determinante principale, più della residenza o del tipo di lavoro o della ricchezza. Risultati simili emergono da una indagine della Bce del 2016. I favorevoli sono verosimilmente aumentati poiché molti dei timori espressi si riferivano alle competenze informatiche, dissoltisi “grazie” alla spinta digitale prodotta dal Covid.
Il fascino delle banconote
Ci sono varie narrazioni fuorvianti che giustificherebbero l’uso del contante. “Il contante è gratis” si dice: no, è pubblico. Secondo la Banca d’Italia ci costa 7,4 miliardi all’anno. “C’è un alto rischio di frodi informatiche”, è però un rischio relativamente inferiore rispetto a furti e rapine.
Ed è assicurabile. “C’è un rischio privacy”: il sistema dei pagamenti non è un social, non è che perché siamo nel mondo digitale si possono spiare o analizzare i comportamenti delle persone. Nessuno verrebbe a conoscere le transazioni eseguite, a meno che non ci sia una indagine giudiziaria in corso; come, peraltro, succede già adesso.
In questo dibattito, inoltre, ci sono dei passaggi paradossali. Il primo: la ricerca spasmodica della evidenza quantitativa per correggere costumi sociali deteriori sta diventando un freno metodologico. Il regolatore pubblico deve scegliere anche in condizioni di scarsa informazione, agendo – come scriveva il legislatore, magari in maniera un po’ naif – nell’interesse della comunità come farebbe “un buon padre per la sua famiglia”. Il secondo si riferisce alla pretesa di riservatezza per chi ha una condotta fiscale infedele, ovvero andrebbe tutelato proprio chi allo stato cela parte delle informazioni, nasconde guadagni, occulta parte delle sue attività.
La terza, infine, sono i costi dell’emersione: alcune attività illegali (e l’occupazione in nero collegata) potrebbero non riuscire a stare nel mercato regolare e ciò crea il timore di un contraccolpo a una eventuale azione di bonifica, arrivando addirittura a giustificare l’evasione di sussistenza. Una inaccettabile resa alla illegalità … leggi tutto