La morte non si addice a un baby boomer come Germano Celant, e per questo risulta più difficile scriverne quando il critico e curatore genovese è appena mancato.
L’arte occidentale ha spesso colloquiato con il Dolore e l’Assenza, esortato alla Pietà, illustrato lo Smarrimento e la Costernazione. Ma niente di tutto questo è Arte povera, soprattutto nella comunicazione, politica, anzi più, politicistica che ne dà Celant agli inizi del movimento.
Arte povera è per lui il contrario: certezza di sé e del proprio diritto, baldanza, vocalità, protesta. È adesso, per Celant, il tempo degli onori e delle esequie. E tuttavia, a distanza, diventerà sempre più chiaro che una valutazione della sua attività è inevitabilmente molteplice e complessa. Né possono mancare riserve, anche gravi, sulla sua attività di critico e “studioso”.
Vogliamo parlare qui del Celant imprenditore di successo del brand Arte povera, che esclude o include autocraticamente, distribuisce royalties e lascia fuori, per motivi mai chiariti, Gilardi e Piacentino, per tacere di Marisa Merz? O del Celant titolare di un immenso e inaccessibile archivio, che di fatto privatizza la memoria pubblica? Vogliamo parlare delle perplessità maturate a suo riguardo da una critica ben altrimenti rischiosa e perspicace, come Carla Lonzi? … leggi tutto