O Salvini o Bruxelles: la scelta indifferibile di Meloni (e del Paese) (ildubbio.news)

di Paolo Delgado

La decisione dovrà essere inequivocabile per 
evitare di provocare nuovi strappi insanabili 
con l’Unione europea

«La politica estera dipende dal governo, non dal capo dello Stato», puntualizza il medesimo capo dello Stato e non ci sarebbe alcun bisogno della precisazione se i fatti degli ultimi giorni non autorizzassero qualche dubbio in proposito.

La telefonata tra lui e Macron, per le modalità con le quali si è svolta e per il momento delicatissimo nel quale si è verificata, ha rappresentato infatti l’esercizio di un vero e proprio ruolo di supplenza del Quirinale se non nelle scelte del governo almeno nella sua diplomazia.

Per Giorgia Meloni è stato un aiuto provvidenziale, perché in tutta evidenza il governo italiano, come del resto quello francese, non sapeva come tirarsi fuori da una crisi diplomatica provocata da imperizia e superficialità e governata tanto male da essere quasi fuori di controllo.

Però quell’invasione di campo è stata anche un colpo duro per l’immagine della premier, inevitabilmente incrinata dalla necessità di delegare a un’istituzione altra e superiore il proprio ruolo per tirarsi fuori da un ginepraio diplomatico nel quale lei stessa, con Macron, si era infilata.

L’intera vicenda peraltro conferma che la premier Giorgia Meloni non è partita con il piede giusto. Sia l’assurdo decreto rave che l’inutile battaglia navale ingaggiata contro le Ong indicano il limite del suo governo, l’errore di valutazione all’origine di entrambi gli errori da matita rossa.

La presidente del Consiglio ha pensato di potersi muovere su un doppio binario: quello di un rispettabile conservatorismo europeo sul fronte dei conti e del rapporto con la Ue, in sostanziale continuità con il governo Draghi sia pure spostando a destra la barra, ma anche quello della omogeneità con i toni ringhiosi del primo governo Conte quanto a politiche della sicurezza e dell’immigrazione.

Se a spingerla su questa via sia la necessità di dare qualche soddisfazione al suo popolo di destra deluso dalla resa sul piano del rigore europeista, oppure la necessità di non farsi superare a destra da Salvini o ancora una sincera convinzione è in ultima analisi poco rilevante. Probabilmente, del resto, ciascuna di queste spinte è effettivamente presente. Quel che conta però è quanto la realtà abbia già dimostrato che la possibilità del doppio binario non esiste.

La scelta di Giorgia deve essere a tutto campo. Può optare per un governo conservatore pragmatico e realista, che si muove sì nella direzione indicata in campagna elettorale, ma senza tentare forzature o fughe in avanti, incalzando la Ue sui propri temi, come è giusto che sia, ma senza provocare conflitti e tenendo sotto controllo le inevitabili tensioni. Oppure, come il governo gialloverde del 2018, può scegliere la via del governo di rottura sfidando l’Europa come provarono a fare Salvini e Di Maio con quota 101 o con la guerra aperta contro le Ong.

La premier sembra aver capito che la strada del 2018 non la porterà lontano anche perché, rispetto agli anni ‘ 10 il clima sociale e culturale è cambiato. Gonfia ancora le vele della destra ma non più quelle dei movimenti populisti. Ma allora deve avere il coraggio di sterzare fino in fondo, anche assumendosi la responsabilità di guidare il proprio elettorato invece che farsene guidare.

È una scelta che la leader della destra e capo del governo deve fare in fretta. La telefonata tra Colle ed Eliseo ha probabilmente chiuso l’incidente della Ocean Viking ma non ha neppure scalfito il problema da cui quell’incidente è derivato, né poteva essere diversamente dal momento che Mattarella non ha e soprattutto non vuole avere voce in capitolo nelle scelte dell’esecutivo.

Il problema dunque si riproporrà e probabilmente nessuno, neppure a Parigi, Berlino o Bruxelles, immagina che la leader della destra possa rinunciare alla crociata contro l’immigrazione clandestina, esimersi dal varare decreti ad hoc o evitare di creare nuove tensioni. Ma c’è un limite che non può essere varcato, costituito dagli sbarchi dei profughi salvati.

Nuove navi ferme di fronte ai porti implicherebbero uno scontro non solo con Parigi ma con tutta l’Europa che neppure Mattarella riuscirebbe stavolta a ricucire. Per quando le prossime navi delle Ong arriveranno in un porto italiano Giorgia Meloni dovrà aver deciso quale destra e quale tipo di governo vuole guidare.

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