La frase più famosa di Luigi Di Maio, quando ancora era l'idolo e l'emblema del mondo grillino,
è quella pronunciata dal balcone di Palazzo Chigi nel settembre del 2018 dopo l’approvazione del reddito di cittadinanza: «Abbiamo abolito la povertà». Ma per far digerire alla Lega e agli italiani l’esborso di 7 miliardi l’anno, poi diventati 8, vale a dire 4-5 miliardi in più rispetto al Reddito di inclusione varato l’anno prima dal governo dem guidato da Paolo Gentiloni, il capo politico dei Cinquestelle aveva puntato molto anche sulla seconda gamba del sussidio. Non una semplice elemosina di Stato, ma uno strumento potente per ridare dignità alle persone, accompagnandole verso il mondo del lavoro.
Sentite qua: «Obiettivo del reddito di cittadinanza non è dare soldi a qualcuno per starsene sul divano», spiega il vicepremier e ministro del Lavoro ad un convegno della Uil, «ma è dire con franchezza: hai perso il lavoro, il tuo settore è finito o si è trasformato, ora ti è richiesto un percorso per riqualificarti ed essere reinserito in nuovi settori. E mentre ti formi lo Stato investe su di te».
I FINTI OCCUPABILI
La maggior parte di noi fino a qualche giorno fa era rimasta a questa versione del reddito: da una parte un sussidio ai più bisognosi, dall’altra un sostegno a chi deve trovare un lavoro. Dopo tre anni e circa 26 miliardi di soldi dei contribuenti spesi, però, la stretta prevista da Giorgia Meloni nella legge di bilancio ci ha fatto scoprire che si è trattato del più colossale imbroglio mai visto. Avete presente quegli “occupabili” a cui viene chiesto di firmare il patto per il lavoro e su cui il governo vuole intervenire per dare efficacia ad uno degli obiettivi dichiarati e non equivocabili della misura pentastellata?
Ebbene, non sono mai esistiti. Non nel senso che non esistono quelle 800mila persone, sui circa 2,5 milioni di italiani che in media prendono ogni mese l’assegno, che vengono indirizzate ai servizi per l lavoro, ma nel senso che nove di loro su 10 non sono praticamente in grado di svolgere alcuna attività. Ecco cosa dice il commissario dell’Anpal (l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro), Raffaele Tangorra, a Repubblica: «Solo il 13% dei beneficiari del reddito presi in carico dai centri per l’impiego è pronto a lavorare».
Il motivo? «Tre quarti non lavorano da oltre tre anni o non hanno mai lavorato. Spesso si tratta di persone che non sanno leggere né far di conto». In altre parole, nessuna azienda potrà mai offrirgli un impiego e se la legge non cambia continueranno ad intascare l’assegno, pagato con le nostre tasse, vita natural durante.
L’inadeguatezza al mercato del lavoro della platea che tra 8 mesi rischia di perdere il sussidio è in questi giorni la principale arma di sinistra, sindacati ed intellettuali radical chic contro la mossa del centrodestra. In realtà, è la clamorosa ammissione della truffa ai danni dei contribuenti. Per tre anni abbiamo pensato di finanziare uno stimolo all’occupazione e al miglioramento sociale, morale ed economico di chi si trovava temporaneamente in difficoltà, come diceva Di Maio, e invece abbiamo semplicemente consentito che lo Stato lasciasse centinaia di migliaia di cittadini nell’incapacità perpetua di provvedere ai propri bisogni, condannandoli ad una situazione di mera sopravvivenza.
D’altra parte, commentando gli stanziamenti del Reddito di inclusione, l’Alleanza contro la povertà nella primavera del 2018 diceva che per coprire tutta la platea dei poveri assoluti servirebbero almeno 7 miliardi. Il che ci riporta ai soldi pubblici spesi per la paghetta grillina, con una differenza non trascurabile però.
Tra la confusione truffaldina di sussidio e incentivo all’occupazione e l’assurdo meccanismo delle autocertificazioni dei requisiti, che ha favorito ruberie di ogni tipo, il reddito di cittadinanza non è neanche riuscito ad aiutare i poveri. Solo un mese fa la Caritas ha denunciato che malgrado una platea complessiva di 4,7 milioni di residenti che ha beneficiato in questi anni dell’assegno, il 44% dei poveri assoluti non è stato raggiunto da alcun aiuto economico.
DOPPIO FALLIMENTO
A questo punto, non sarebbe meglio riconoscere il doppio fallimento e usare le risorse in altro modo, piuttosto che insistere su uno strumento che fa acqua da tutte la parti? Sul fronte della povertà un paio di giorni fa l’Istat ha certificato che nel 2022 per abbassare il rischio di indigenza hanno fatto più i bonus di Draghi e l’assegno unico (guarda caso rinforzato nella manovra) che il reddito di cittadinanza.
Sul terreno dell’occupazione, malgrado ora sbraiti contro la Meloni, il Pd conosce da tempo il grande inganno dell’obolo grillino. Altrimenti un anno fa l’ex ministro del Lavoro, il dem Andrea Orlando, non avrebbe varato il programma Gol, garanzia di occupabilità dei lavoratori.
Un piano di politiche attive per il lavoro che viaggia parallelamente al reddito di cittadinanza e ci costa la bellezza di 4,4 miliardi del Pnrr. Se la misura pentastellata che il centrodestra vuole sfasciare funzionava così bene, che bisogno c’era?