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Chef Ben Altro (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Appena ha saputo che Liliana Segre lo aveva 
denunciato per le minacce ricevute online, 
Chef Rubio è tornato ad attaccarla, 

imputando alla senatrice a vita di non essersi mai pronunciata sui crimini commessi dall’esercito israeliano ai danni dei palestinesi. Come se, in quanto ebrea, soltanto una presa di posizione contro la politica di Israele la legittimasse a parlare in pubblico dell’Olocausto.

Con la stessa logica, Chef Rubio avrebbe stroncato «Se questo è un uomo» perché Primo Levi si era limitato a raccontare i lager, tacendo sulla ricchezza dei Rothschild.

Il benaltrismo — quel modo distorto di ragionare che rinfaccia agli altri di non indignarsi per ogni cosa, col bel risultato che non ci si indigna più per niente; quell’artificio dialettico per cui a qualsiasi interrogativo scomodo si risponde con un altro e, rimasti a secco di domande, si esclama «e allora il Pd?»; il benaltrismo, dicevamo, quest’anno ha toccato vette insuperabili.

Basti pensare a coloro che, pur di svicolare dalle responsabilità dei russi nella guerra in Ucraina, si chiedevano perché si parlasse così poco di quella nello Yemen.

Se «i silenzi di parte» fossero «odio», come dice Rubio, potremmo applicare il benaltrismo anche a lui e chiedergli qual è stata l’ultima volta in cui ha difeso i diritti di qualcuno di cui non condivideva l’ideologia.

Ma ce ne guardiamo bene, certe schermaglie fanno parte del gioco. Vorremmo solo proporgli di fissare un limite al benaltrismo, evitando di applicarlo alle vittime del nazismo.

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