di Mario Lavia
Giorgia on her mind
L’attacco inopportuno di Crosetto alla Bce, le nomine senza un criterio, la generale insofferenza verso gli organi di controllo. Così Fratelli d’Italia sta accelerando il declino italiano
E meno male che era draghiana. Giorgia Meloni sta rompendo tutti i presunti fili di continuità con il suo illustre predecessore a palazzo Chigi. E non si tratta solo dello strano caso della mancata conferma del taglio del prezzo del carburante, anche se il misfatto rende plasticamente l’idea di una rottura di continuità, quanto dell’atteggiamento politico completamente diverso innanzitutto nei confronti dell’Europa, segnatamente della Banca centrale europea, nonché di gangli fondamentali del governo dell’economia, dalla Banca d’Italia al Mef.
La sortita di Guido Crosetto contro Francoforte è stata molto dura, vuoi perché il personaggio ha uno stile sempre diretto vuoi perché il governo ha voluto mettere agli atti (furbescamente non con il ministro dell’Economia che forse nemmeno condivide ciò che ha detto il collega della Difesa) che la musica è cambiata.
«Non serve un premio Nobel, basta il buon senso di una massaia per capire che alcune decisioni provocano effetti negativi perché amplificano la crisi», ha detto Crosetto a Repubblica accusando in sostanza la Bce, con la sua politica di alti tassi, di creare grossi problemi al nostro Paese. Dimenticando che una funzione primaria della Banca centrale è quella di raffreddare l’inflazione.
Carlo Calenda non gliel’ha mandata a dire: «Questa intervista di Crosetto è demenziale e pericolosa. Demenziale da un punto di vista tecnico – la Bce deve contrastare l’inflazione che mangia i salari e le pensioni – pericolosa perché riesuma tutto l’arsenale di fesserie sovraniste antieuropee. Sembra Borghi»: paragone terribile.
Non si tratta evidentemente di un dibattito accademico ma di lotta politica. Il modo con cui il ministro della Difesa ha attaccato Francoforte non è usuale. Riproponendo tra l’altro un’antica polemica sul’assolutismo della Banca centrale: «Abbiamo lasciato a organismi indipendenti e che rispondono solo a se stessi la possibilità di incidere sulla vita dei cittadini e sull’economia, in modo superiore alla Commissione europea e soprattutto ai governi nazionali. È legittimo chiedersi quanto sia giusto?».
Trapela in queste parole un’insofferenza di fondo – staremmo per dire: epidermica – per le autorità e le istanze indipendenti che come tali sfuggono al controllo dei governi nazionali: ed è questo il lato più appariscente del prisma nazionalistico proprio della destra italiana.
Così come, sebbene poi finita nel dimenticatoio, resta nella memoria l’intemerata del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari contro palazzo Koch («Bankitalia è partecipata da banche private», una frase che presto si rivelò tecnicamente sbagliata) che aveva osato esprimere critiche alla annunciata misura sul contante, un’uscita di cui a via Nazionale hanno preso debitamente nota. D’altra parte tutta filosofia meloniana non è certo protesa alla logica dei contrappesi, men che mai europeista.
«Più Italia in Europa» per «difendere l’interesse nazionale» è uno slogan che va a finire a pochi centimetri dalla bagarre contro gli altri Paesi in una visione potenzialmente distruttiva dell’Unione. Ma evidentemente Meloni, Corsetto, Fazzolari, Adolfo Urso, il sottosegretario all’Economia Maurizio Leo (che gode di molta più fiducia della presidente del Consiglio di quanto non ne possa vantare Giancarlo Giorgetti), insomma la squadra economica di Fratelli d’Italia giunta nella stanza dei bottoni è persuasa di poter fare da sé, contro tutto e contro tutti. Chi non segue è destinato a fare una brutta fine.
Signori, abbiamo vinto noi e dunque si cambia, diciamo così, a prescindere. E dunque l’assalto a via XX Settembre è partito con l’obiettivo di silurare Alessandro Rivera, il direttore o generale del Mef, uno che certamente non è organico al nuovo potere e che tra l’altro a destra è criticato per la gestione della vicenda Ita Airways.
Il fastidio per tutto ciò che non sia suo il governo meloniano (sempre più e solo di Giorgia Meloni: Salvini è sparito e Berlusconi mastica amaro) lo rende ancora più evidente con la presa di caselle della più varia natura: nessun pezzo dell’amministrazione può star sicuro.
Non si è capito bene, se non appunto con la voglia di spoil system purchessia, perché Giovanni Legnini sia stato sollevato di peso dall’incarico di commissario alla ricostruzione delle zone terremotate, dove a detta degli esperti stava facendo bene: o meglio, si capisce fin troppo bene avendoci messo il fidato ex sindaco di Ascoli Guido Castelli, ovviamente di Fratelli d’Italia, una decisione che il vescovo di Norcia, Renato Boccardo, ha definito «uno schiaffo alle popolazioni terremotate».
E ieri è stato rimosso Nicola Magrini, direttore generale dell’Aifa, nominato da Roberto Speranza: Magrini pochi giorni fa aveva parlato di «esitazioni o momenti di riflessione» del governo sui vaccini al momento del suo insediamento. Un caso la sua rimozione anzitempo? Ma questo è lo spoil system, bellezza, e tu non può farci niente.
Altro che draghiana, Giorgia.