La legge non ammette ignoranza ma la politica sì
Quella di Giuseppe Conte per i Cinque Stelle è una passione antica. Di lusso, sulla neve o in città. Tutti con belle terrazze da cui brindare al successo: gli hotel che l’ex premier, già avvocato del popolo, frequenta da anni sono i più rinomati. Quello che a Roma appartiene alla famiglia Paladino – e nello specifico al suocero di Conte, Cesare Paladino, il Grand hotel Plaza di Roma, su via del Corso – non è da meno.
È una struttura che lega la sua storia alla politica: già usato da Licio Gelli per i suoi incontri riservati, venne poi scelto da Gianni De Michelis come quartier generale informale del Psi, distinto dal Raphael che di Craxi era la residenza romana.
Ma è di questi ultimi anni un caso ingiustamente dimenticato che dimostra quanto Conte ami i Cinque Stelle non solo per godersi le vacanze ma anche per mettercisi al lavoro. La vicenda che riportiamo nasce quando Cesare Paladino, proprietario del Plaza e padre della compagna di Conte, per cinque anni – dal 2014 al 2018 – decide di trattenere le tasse di soggiorno versate dai clienti dell’hotel: si mette così da parte un gruzzolo di oltre due milioni di euro.
Qualcuno denuncia, parte l’accertamento e nel corso dell’indagine penale che ne consegue a Paladino vengono prima sequestrati undici milioni di euro, poi viene costretto alla restituzione alle casse del Comune di Roma dei due milioni rimastigli indebitamente in cassaforte. Patteggia una pena per il reato di peculato a un anno, 2 mesi e 17 giorni di detenzione.
Ma arrivano le elezioni del 2018 e di lì a poco, il genero Giuseppe Conte diventa improvvisamente il nuovo premier. Il Conte I nasce e affonda tra i marosi del Papeete. E non appena torna a Palazzo Chigi con il Conte II, e può mettere mano a un decretone omnibus, cosa inserisce tra le priorità? Una leggina ad hoc.
Il Governo interviene con il Dl Rilancio del 19 maggio ‘20, convertito nella legge 77 del 20 luglio. Qui, all’articolo 180 comma 3, l’esecutivo tira un colpo di spugna sulla fattispecie (abbastanza diffusa per la verità, dicono gli addetti ai lavori) del peculato da omesso versamento della tassa di soggiorno, una imposta da versare agli enti locali secondo una codifica del 2010.
Ecco che con i 5 Stelle al governo, gli hotel a Cinque Stelle possono tirare un sospiro di sollievo. Trattenere quell’imposta, ha stabilito il Dl firmato da Conte, non è più reato ma un semplice illecito amministrativo. E per il procedimento penale in cui era incorso il parente acquisito dell’allora premier, ecco applicarsi addirittura la retroattività della norma.
Il Gup di Roma Bruno Azzolini ha accolto l’istanza del legale difensore di Cesare Paladino, Stefano Bortone, che chiedeva di applicare l’incidente di esecuzione. Per il giudice a quel punto “il fatto non è previsto dalle legge come reato”, proprio perché trasformato dal governo Conte, in fretta e furia, in un mero illecito da sanzione amministrativa.
Sul colpo di spugna per gli hotel prova a fare chiarezza, con una interrogazione parlamentare, Michele Anzaldi, Italia Viva. In risposta al deputato renziano l’artefice stesso del provvedimento, firmato dall’allora ministro per i Beni culturali, Dario Franceschini.
Il ministro che fece da capodelegazione Pd nelle trattative con il Movimento e che rimase a fare da garante del patto di ferro per il Conte II, diede all’interrogante una risposta formale: “Non c’è nessun mistero, l’iniziativa è mia e non si tratta di una norma salva suoceri o di una fantomatica manina di Palazzo Chigi”, ma di una “Norma nata negli uffici Mibact perché giusta. Il Presidente del Consiglio non ne era a conoscenza prima che io la portassi a Palazzo Chigi – ha rivendicato Franceschini – così come io non sapevo della vicenda Plaza”.
La legge non ammette ignoranza ma la politica sì: della vicenda Plaza e della parentela acquisita del premier con il proprietario del Cinque Stelle più centrale di Roma si erano già occupati nei due anni precedenti tutti i giornali.