La polemica sulle intercettazioni
C’è qualcosa di non chiarito che resta nascosto nel polverone sollevato sulle intercettazioni dopo il discorso del ministro Nordio in Parlamento e dopo la cattura di Matteo Messina Denaro.
Esiste un non-detto, una sorta di metatesto tra le righe delle dichiarazioni che nasconde agli occhi dell’opinione pubblica meno esperta quale sia il reale terreno di scontro tra quelle che appaiono a prima vista due fazioni furiosamente in lotta. Sia chiaro non vogliamo scoprire l’acqua calda, ma solo segnalare ciò che in parecchi sanno, ma semplicemente tacciono.
In questi giorni turbolenti tra articoli, prese di posizione, polemiche affiora carsicamente quale sia la sostanza della questione sul tavolo e quale l’effettivo bersaglio della riforma che il ministero di via Arenula potrebbe avere in mente. Si è parlato di intercettazioni a strascico, di centinaia di migliaia di bersagli che ogni anno cadono nella rete delle captazioni e di milioni di dati di traffico che vengono drenati sulle reti. Per capirsi occorre una certa precisione.
Il codice di procedura penale, ovviamente, contiene norme generali. Descrive quali siano gli adempimenti e le prove necessarie per sottoporre a intercettazione una persona in relazione alle indagini per un certo reato. Ciascuna di queste scansioni è minutamente regolata dal codice Vassalli. Ci vogliono quasi sempre gravi indizi di un reato, c’è un soggetto da ascoltare, c’è un decreto che autorizza.
Ad esempio, ci sono elementi concreti per ritenere sussistente una corruzione e così si intercettano i due soggetti coinvolti. Sennonché, nel corso delle intercettazioni, si scopre che uno dei due – conversando con altri – sta portando a compimento anche un peculato di cui non si sapeva nulla e per il quale non c’era alcuna evidenza prima. Allora il pubblico ministero acquisisce quelle conversazioni e le utilizza in un nuovo procedimento.
Caso facile, facile, ma in realtà – soprattutto dopo alcune sortite legislative del Parlamento in risposta a una certa prudenza, in questa circolazione delle intercettazioni da un processo all’altro, che era stata raccomandata dalle Sezioni unite della Cassazione – i numeri sono sicuramente altissimi.
Anzi si può dire che, quasi sempre, questa sia la regola. Si intercetta partendo da un reato del quale poi non si scopre nulla, ma grazie agli ascolti (soprattutto se molto estesi) si mettono le mani su altre piste investigative totalmente sconosciute e qualcuno ci resta impigliato.
La rete a strascico di cui si discute è questa e riposa su una precisa norma del codice di procedura penale (articolo 270) non a caso oggetto di un nugolo di interventi legislativi e di pronunce della Corte di cassazione dal 2017 sino ai nostri giorni (sentenza n. 37911 del 2022). È il cuore del sistema, il nocciolo duro del potere investigativo a disposizione degli inquirenti. È la ragione per cui le indagini si prestano a essere orientate non verso i reati, ma verso i soggetti di interesse; tanto in un paese che galleggia tra mille illegalità e tra mille debolezze personali, qualcosa vien fuori per incastrarli o per deturparli con qualche giornalista compiacente.
Spezzata la relazione decreto-reato-persona e aperto a dismisura il compasso delle intercettazioni utilizzabili verso ogni reato che venga a galla è chiaro che si opera a mano libera e, potenzialmente, per un periodo praticamente illimitato. Il codice non detta un termine di durata massima delle captazioni che, di proroga in proroga, possono durare anche due anni … leggi tutto