Come il Pd, a forza di ricercare l’approvazione altrui, perse il rispetto di sé (linkiesta.it)

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Iene democratiche

L’improvvisa conversione di Giarrusso sulla via di Bonaccini ha suscitato molte polemiche, non tutte fondate. In fondo, in passato, non ha detto cose peggiori di Grillo o Di Maio (e questo, semmai, è il problema)

Irriducibilmente refrattario a quella basilare regola del giornalismo secondo cui «la notizia va in alto», partirò da tutto ciò che a mio parere, nella polemica del giorno riguardante l’ingresso di Dino Giarrusso nel Partito democratico, da lui annunciato sabato nel corso di un’iniziativa pubblica a favore di Stefano Bonaccini, non trovo minimamente significativo.

Sicuramente non sono significativi gli argomenti e tanto meno le facili ironie degli esponenti delle altre correnti, vale a dire di coloro che da anni si battono perché il Pd stringa un’alleanza strategica con l’intero Movimento 5 stelle. Meno spudorate, ma altrettanto interessate e dunque prevedibili, appaiono le critiche di Matteo Renzi e Carlo Calenda.

Le ragioni per cui i sostenitori della candidatura di Elly Schlein da un lato e quelli del terzo polo dall’altro stanno facendo salti di gioia mi sembrano talmente ovvie da non richiedere spiegazioni. Evidentemente, tuttavia, non lo sono per gli strateghi dell’operazione, i quali forse dovrebbero riflettere sull’entità del danno prodotto in un nanosecondo tanto alla candidatura di Bonaccini (di qui la gioia dei suoi concorrenti nella sfida congressuale) quanto all’immagine del Partito democratico nel suo insieme (di qui la gioia dei concorrenti del terzo polo). Ottenere un simile risultato con un colpo solo, obiettivamente, non era facile.

Altro aspetto della questione che non trovo particolarmente interessante, sebbene abbia innegabilmente un suo peso, è tutta la polemica riguardante le specifiche caratteristiche, diciamo così, politiche e biografiche di Giarrusso: le sue passate dichiarazioni contro il Pd, le sue contraddizioni e le sue varie gesta.

Ma di un eurodeputato che l’estate scorsa accusava i colleghi del Movimento 5 stelle di essere divenuti «lo zerbino del Pd» e ora chiede la tessera del Pd (in vista delle elezioni europee del prossimo anno, ovviamente), cosa si vuol dire? Cos’altro c’è bisogno di sapere? E se anche volessimo annoiarci nel ripercorrere una per una scelte, dichiarazioni e contraddizioni del neobonacciniano Giarrusso, una volta arrivati alla fine, cosa avremmo ottenuto: in cosa risulterebbe diverso da Giuseppe Conte e da ogni altro esponente del Movimento 5 stelle?

Questo, semmai, è il punto. Giarrusso è l’arci-grillino, è il più tipico rappresentante di quel mondo, lo è sempre stato, sin da quando faceva il giornalista-moralizzatore alle Iene (con risultati che non voglio rievocare, ma che qualcuno farebbe bene a ricordare).

Piero Fassino ora chiede a Giarrusso di scusarsi per avere a suo tempo dichiarato che la ministra della Difesa del Pd, Roberta Pinotti, aveva «le mani lorde di sangue», ma qualcuno ha mai ottenuto le scuse di Luigi Di Maio per avere dichiarato che il Pd «toglieva alle famiglie i bambini con l’elettroshock per venderseli», prima di aprirgli le porte della coalizione (per fortuna subito richiuse dagli elettori)?

Ora Bonaccini e tutti i principali dirigenti schierati con lui invitano il figliol prodigo a dare prove di pentimento, rendendo la situazione ancora più grottesca. Ma qualcuno di loro ha mai chiesto conto a Beppe Grillo e a Rocco Casalino delle loro campagne di odio e disinformazione, per cui non hanno esitato a strumentalizzare le più terribili tragedie?

Il punto non sono le dichiarazioni di questo o quell’avversario, ma il modo di funzionare e la stessa ragion d’essere di un intero movimento politico, che su questo genere di campagne ha costruito le sue fortune.

La facilità con cui nel Pd si è pronti a passarci sopra, come se si trattasse semplicemente di qualche battuta sopra le righe, la dice lunga su quale sia davvero il senso di sé, l’orgoglio, il sentimento della dignità del proprio partito e della propria funzione che alberga nel gruppo dirigente.

Viene quasi il sospetto che molti di loro, forse anche perché provenienti da una tradizione che negli ultimi trent’anni ha fatto non pochi sforzi per ottenere una certa legittimazione, a furia di ricercare l’approvazione altrui, abbiano perso completamente il rispetto di sé.

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