Quando abbiamo iniziato la campagna di crowdfunding per l'edizione 2023 di Valigia Blu,
uno dei rischi che avevamo messo in conto è stato quello di perdere donazioni per via delle posizioni assunte sull’Ucraina. Si è trattato di un tema che ha dominato comprensibilmente il dibattito pubblico nel 2022, e che ha fortemente diviso l’opinione pubblica. Non solo: il nostro paese ha subito notevolmente i contraccolpi della disinformazione, sia come propaganda diretta, sia come scarsa qualità.
Ogni qual volta prendiamo pubblicamente posizione su temi delicati e che dividono l’opinione pubblica, siamo consapevoli del rischio di scontentare le persone, persino di farle infuriare, perdendo magari per strada chi ci ha sostenuto per anni. Tuttavia, uno dei pilastri di Valigia Blu è nel vedere la trasparenza come massima forma di obiettività nell’ecosistema informativo. Su temi a carattere scientifico, o che toccano i diritti umani, il rischio di fare “false balance” (finto equilibrismo, o volendo anche “cerchiobottismo”) dietro un’obiettività di facciata è un problema endemico del giornalismo, non soltanto italiano.
L’esempio classico che si fa in questi casi, è quello della domanda “fuori piove?”: il finto equilibrismo impone di riportare le opinioni di chi sostiene che fuori piova, così come di chi sostiene che fuori ci sia il sole. Mentre il giornalismo dovrebbe verificare che tempo c’è fuori dalla finestra, e riportarlo, stando sempre attento a mettere in discussione i metodi impiegati per arrivare alla risposta.
Nel caso specifico, questa guerra, forse come mai in precedenza, ha fornito e continua a fornire un numero impressionante e terribile di risposte documentate e verificabili alla domanda “che cosa sta accadendo?”. Se le implicazioni delle risposte sono difficili da valutare, persino dolorose, non vedere cosa sta succedendo od occultarlo attraverso il linguaggio e la retorica, facendo retrocedere i fatti e il diritto a una battaglia di segni, ci appare più odioso che mai.
Non è un caso, ne siamo convinti, che gli importanti rapporti internazionali usciti in questi mesi, le principali inchieste e i pilastri basilari del diritto internazionale che dovrebbero orientare le decisioni politiche restino sempre sullo sfondo del dibattito pubblico, o del tutto fuori scena. Chi, per esempio, per la strage di Mariupol o il massacro di Bucha si è affrettato a dire che fosse importante aspettare, che le Nazioni unite dovessero indagare per accertare le responsabilità, nascondendosi dietro uno scetticismo di comodo pur di non prendere una posizione netta e chiara, quando poi quelle risposte sono arrivate ha rivolto la sua attenzione altrove.
Per questo motivo nel testo della campagna di crowdfunding abbiamo esplicitato ancora una volta sia il nostro modo di concepire l’informazione, sia la nostra posizione sull’attuale conflitto. Posizione che è frutto di un lavoro approfondito di ascolto, ricerca e studio che non si arresta mai. In questi casi, ci muove la consapevolezza che non ha senso adottare strategie per blandire il pubblico: è più onesto e rispettoso mettere le persone nella condizione di capire come la pensiamo, e poi eventualmente confrontarsi.
Il crowdfunding per il 2023, che si è concluso il 15 gennaio, ci ha visto raggiungere in anticipo l’obiettivo di 70mila euro, nonostante la decisione di far durare la campagna meno giorni rispetto alle precedenti edizioni. A dispetto delle nostre – forse pessimiste! – previsioni sono arrivati pochissimi messaggi di protesta da parte di persone deluse che hanno comunicato la decisione di non sostenerci più.
Per quanto possibile abbiamo risposto a ciascuno. Una di queste, in particolare, ci ha colpito, e abbiamo deciso di rendere pubblico lo scambio poiché riteniamo possa essere utile a capire certe dinamiche che si innescano a proposito della guerra in Ucraina, di quanto sia strumentale parlare di “propaganda occidentale” senza entrare nel merito delle questioni e di cosa sia il confronto.
Buongiorno volevo comunicarvi che non mi sento più di sostenervi perché non mi piace affatto come avete gestito il tema della guerra in Ucraina. Anche voi vi siete piegati a diffondere la propaganda occidentale senza alcun contraddittorio. Peccato.
Di seguito la nostra risposta.
Ciao,
Grazie per il sostegno che ci hai accordato negli anni passati, rispettiamo la tua decisione di non sostenerci più. Pensiamo però che sia necessaria una risposta alla tua mail, vista la motivazione con cui hai accompagnato la tua decisione.
Ci teniamo a far presente che la nostra posizione sull’attuale invasione su larga scala dell’Ucraina, come indicato in vari articoli, è centrata principalmente sulla Carte delle Nazioni unite e sull’obbligo di prevenzione di genocidio dell’omonima convenzione del ’48:
Tanto la Carta delle Nazioni unite quanto la Convezione sul genocidio sono in vigore anche per Ucraina e Russia. Il nostro lavoro inoltre si è configurato in questo modo: abbiamo dato molto spazio a dissidenti, intellettuali e giornalisti dell’Europa Orientale, tra cui numerosi russi. Parlare di “propaganda occidentale” significa prima di tutto squalificare il loro lavoro e il loro operato, i rischi che vengono corsi, invalidando la loro esperienza e il loro punto di vista.
Il contraddittorio su queste posizioni significherebbe ammettere l’idea di “invasione giusta” o “genocidio tollerabile” (o di non necessità della prevenzione). O che ci si debba schierare tra Russia e Ucraina come fosse una partita di calcio, o scegliendo chi tra i due sia il “buono” della situazione. Altrimenti, che cosa significa contraddittorio in questi casi? Dovremmo sostenere una falsa equivalenza tra chi aggredisce e chi viene aggredito ed è costretto a difendersi? Non è così che funziona il diritto internazionale, non è così che funzionano i diritti umani. Non abbiamo mai seguito questa logica in passato, non contiamo certo di iniziare ora.
Scorrendo la nostra pagina puoi vedere molti commenti critici cui rispondiamo, per ogni articolo: li leggiamo sempre tutti, e per quanto possibile cerchiamo di rispondere. Non ammettiamo tuttavia commenti in violazione della nostra policy, in particolare quando sono disumanizzanti e su spazi condivisi con il pubblico – per questioni etiche e talvolta persino legali. Specialmente per contesti di guerra e in generale per eventi traumatici, questi commenti potrebbero essere letti da persone che hanno subito perdite nel conflitto, o che sono sopravvissute, o che vivono con la costante paura che possa succedere qualcosa ai loro cari.
In questo caso siamo convinti che la priorità debba essere data al rispetto della dignità umana, non al diritto di dire quello che si vuole a prescindere. Siamo convinti che, se per qualunque motivo, ti trovassi in una situazione analoga, applicheresti lo stesso principio. Se ti dà fastidio la difformità di opinioni su un conflitto che avviene in un paese straniero, pensa cosa avverrebbe se questa difformità riguardasse la tua stessa incolumità, o quella delle persone che ti sono vicine.
Come puoi vedere da questa risposta, tuttavia, lasciamo sempre una possibilità di dialogo, una finestra d’ascolto. Ma il dialogo, per l’appunto, richiede la disponibilità a uscire dalla propria comfort zone, prevede un “io” e un “tu”. Altrimenti è un monologo in presenza di testimoni, mentre si declinano infinite varianti di “io…”. Di fronte all’orrore della guerra, questo monologo ci sembra profondamente osceno, e non desideriamo esserne complici. Di fronte all’orrore della guerra, questo monologo è prima di tutto l’esercizio di un privilegio cui rinunciamo volentieri come esercizio minimo di solidarietà.
Se per te tutto questo significa “propaganda occidentale”, rinnoviamo il ringraziamento per la fiducia che ci hai accordato finora. Se tuttavia dobbiamo perdere sostenitori per la nostra posizione sull’Ucraina, preferiamo salutare persone lungo il cammino che negoziare al ribasso con la nostra coscienza.
Un caro saluto,
il team di Valigia Blu