Dopo la pausa imposta dal Covid-19, nell’ex colonia britannica riprendono le proteste.
A essere presa di mira è la nuova legge per la sicurezza nazionale in discussione a Pechino, ma in gioco c’è molto di più. A partire dal futuro del modello “un paese, due sistemi”.
A Hong Kong si scende di nuovo in piazza. Ma stavolta le circostanze sono molto diverse da quelle che hanno ispirato le proteste iniziate nel lontano 2014. Dopo una pausa forzata dalle disposizioni sanitarie, le proteste sono più vivaci che mai, incitate dalla proposta da parte del Congresso nazionale del popolo a Pechino, lo scorso sabato, di una nuova legge per la sicurezza nazionale. Tale legge equipara le manifestazioni al terrorismo e le qualifica come tentativi di secessione, di fronte ai quali risulta giustificato l’intervento diretto della polizia cinese, che nelle ultime ore ha sparato lacrimogeni e arrestato 180 persone, in un’escalation senza precedenti.
La situazione nella baia
La guerra di Hong Kong non sarà infinita, come ha affermato uno dei leader del movimento pro-democrazia Joshua Wong. In questi giorni probabilmente sta volgendo al termine, con il peggior esito possibile: la fine prematura e coatta dello status di “regione amministrativa speciale” in vigore dal 1997, quando il Regno Unito pose fine al protettorato di Hong Kong firmando con la Repubblica Popolare Cinese un trattato che prevede uno status transitorio prima del pieno ritorno alla Cina, nel 2047 … leggi tutto