di Mario Lavia
Restaurazione con sardine
Nella Direzione del partito c’è un restyling al contrario, con il rientro di bersaniani, dalemiani, ex sindacalisti, zingarettiani e orlandiani, con uno squadrone di millennial capitanati Mattia Santori. Resta da chiedersi che fine faranno i riformisti e che spazio avranno quelle idee in politica estera, economica, ambientale dei tempi del governo Draghi
Si può comprendere che Elly Schlein non intenda perdere pezzi e rimarcare che le storie politiche alle radici del Partito democratico vanno coltivate – una rassicurazione che in questo momento appare rivolta ai cattolici democratici, in pre-allarme per il “laicismo” della nuova segretaria, più che agli ex comunisti già comodamente rientrati a casa.
Però non stava scritto da nessuna parte che queste rassicurazioni dovessero trovare uno sbocco plastico nell’ingresso nella Direzione del Partito democratico di glorie più o meno vecchie. Come al solito è una Direzione enorme, che quindi conterà relativamente: e tuttavia colpisce questo restyling all’incontrario mediante ingressi talvolta sorprendenti.
Se era scontato il rientro dei bersaniani – entrano in Direzione Alfredo D’Attorre, Arturo Scotto e Maria Cecilia Guerra più Laura Boldrini, più Rossella Muroni e Sandro Ruotolo già parlamentari di Liberi e uguali –, c’è il ritorno di una dalemiana storica, Livia Turco, molto apprezzata da Elly Schlein (nella relazione domenica ha sollecitato un applauso a «Livia»), e di Goffredo Bettini, che in realtà non se n’era mai andato, e poi un altra personalità storicamente vicina a Bersani e in parte a D’Alema come Susanna Camusso, l’ex leader della Cgil fatta eleggere da Enrico Letta al Senato in Campania.
Sua “compagna di banco”, anche lei senatrice, troviamo nella Direzione dem Annamaria Furlan, un’altra ex del sindacato, la Cisl. Peccato per Carmelo Barbagallo, alla testa della Uil quando le colleghe dirigevano Cgil e Cisl. Questo strato di sinistra storica dovrebbe andare ad amalgamarsi, come la marmellata nella sacher, nel dolce che ha il gusto complessivo dell’operazione-Schlein, quella di uno spostamento a sinistra non solo nelle proposte ma soprattutto nella psicologia e nella cultura politica del “nuovo Partito democratico”.
Si dirà: ma in Direzione c’è anche Giorgio Gori. Sì, ma è uno. Non si è pensato a richiamare veltroniani-riformisti come Giorgio Tonini, Stefano Ceccanti, Enrico Morando. In mezzo ad uno squadrone di millennial, come ha notato Stefano Cappellini, capitanato dalle due Sardine Mattia Santori e Jasmine Cristallo, e una marea di esponenti della sinistra già zingarettiana e orlandiana, da Emanuele Felice a Pierfrancesco Majorino, ovviamente Andrea Orlando e Peppe Provenzano (Nicola Zingaretti, come tutti gli ex segretari, è membro di diritto) che insieme a tanti altri formano un gruppone di sinistra largamente maggioritario
D’altronde questo è il congresso della definitiva de-renzianizzazione del Partito democratico e dell’attuazione dell’indicazione data a suo tempo da Roberto Speranza quando disse che bisognava «espungere dal partito ogni residuo di renzismo», residui che in verità non erano poi così vistosi.
Se i renziani ora davvero non abitano più qui, c’è da chiedersi quale ruolo avranno i riformisti (che non si sa più bene nemmeno come difinire: diciamo, i non-sinistri) nell’era dell’appeasement tra Schlein e Bonaccini, che ha detto di non voler guidare «una minoranza e men che meno un’opposizione» (e dunque viene da chiedere: allora cosa guiderà?), al punto che si profila un accordo per l’ingresso in segreteria di “bonacciniani” e un’intesa sui capigruppo (tra le ipotesi, Simona Bonafè alla Camera e Francesco Boccia al Senato).
E ancora: quale spazio avranno quelle idee in politica estera, economica, ambientale, che si rifanno alle politiche degli anni migliori di governo di Matteo Renzi e poi di Mario Draghi? Possibile che qualcosina farà da lievito ad alcune proposte della neosegretaria.
Ma è certo che la linea la darà la sinistra di Elly Schlein con alle spalle il battaglione di bersaniani, dalemiani, Sardine, ex sindacalisti, e – c’è anche questo – capibastone vecchi e nuovi che la sostengono.