Schlein, la variabile guerra nell’agenda del Pd (corriere.it)

di Angelo Panebianco

Al momento, nessuno può sapere quale opposizione farà la neo-segretaria del Partito democratico Elly Schlein, con quali caratteristiche e quali risultati. Checché ne pensino i faziosi di entrambi gli schieramenti, i bilanci — si tratti dell’operato di un governo o di quello di un leader di opposizione — si possono fare solo dopo che sia terminata la fase, che è sempre piuttosto lunga, del rodaggio.

Si può soltanto fare qualche ipotesi alla luce di ciò che sappiamo della storia di Schlein, di ciò che ha fin qui detto e dei suoi primi passi politici. Una ipotesi che allo stato dei fatti sembra plausibile (anzi, scontata, secondo i più) è che, avendo vinto le primarie del Pd perché percepita dai votanti come «più di sinistra» rispetto al suo avversario (Stefano Bonaccini), Schlein sceglierà di mantenere, per tutta la legislatura, una postura molto «radicale», di contrapposizione frontale alla maggioranza di governo.

Non bisogna tuttavia mai dimenticare che la politica è una attività assai complessa. In questa fase, la scadenza a cui guarda tutta la classe politica è costituita dalle elezioni europee del prossimo anno.

Una postura radicale è oggi essenziale se Schlein vuole ottenere più voti dei 5 Stelle in quella consultazione. Senza quel risultato la sua leadership sarebbe indebolita e compromessa. Ma non è detto che, superato quello scoglio, essa non debba rimodulare il comportamento del principale partito di opposizione. In politica, molto spesso, chi nasce incendiario finisce pompiere.

Meloni all’opposizione era una cosa, al governo un’altra. E la stessa Schlein ha subito abbandonato la posizione sfumata e ambigua che aveva tenuto sulla questione della guerra durante la campagna per le primarie una volta diventata segretaria del Pd. Bisogna anche tenere conto di un’altra cosa: i votanti alle primarie di un partito non sono necessariamente rappresentativi del più ampio elettorato di quel partito, ne esprimono, in genere, l’anima più militante, più estrema. Il grosso dell’elettorato è, per lo più, di un’altra pasta.

Comunque, allo stato degli atti, e detto con tutta la cautela possibile, in un Paese in cui il governo è guidato dalla leader di un partito di destra, anche la segreteria Schlein sembra avviata a mantenere elevato il grado di polarizzazione della politica italiana.

Un grande studioso di politica (di cui i lettori del Corriere ricordano gli editoriali), Giovanni Sartori, distingueva le democrazie a seconda del tasso o grado di polarizzazione. Le democrazie più polarizzate sono quelle in cui è massima la distanza ideologica fra gli elettorati di destra e di sinistra. In quelle meno polarizzate la distanza è inferiore. Nel primo caso gli elettori di destra e di sinistra sono così lontani fra loro che non sono plausibili significativi travasi di voti fra uno schieramento e l’altro.

Elettori di destra e elettori di sinistra si percepiscono come nemici piuttosto che avversari. Nel secondo caso, la distanza ideologica è assai inferiore. Per i leader è possibile appellarsi agli elettori dell’opposto schieramento, sperare di conquistarne, prima o poi, almeno una parte. Molte democrazie alternano, nel corso della loro storia, fasi di maggiore e di minore polarizzazione.

Questa attuale è, per diverse democrazie occidentali, una fase di elevata polarizzazione. L’Italia ha però una particolarità. Il suo grado di polarizzazione è sempre stato assai elevato: lo era al tempo della Guerra fredda, lo era al tempo di Berlusconi, lo è oggi al tempo di Meloni contro Schlein/Conte.

Un aspetto che solo apparentemente ha a che fare con questioni di bon ton o di cortesia istituzionale aiuta a comprendere quale sia il grado di polarizzazione politica di un Paese. Gli elettori approvano oppure no che i leader dell’opposizione, pur nella distinzione dei ruoli, manifestino un qualche apprezzamento per le qualità politiche del capo del governo? Quando Enrico Letta e Stefano Bonaccini, sollevando le proteste dei sostenitori di Schlein, hanno riconosciuto le capacità di Giorgia Meloni stavano facendo una operazione sottile: stavano cercando di parlare agli elettori di Meloni.

Il messaggio era: vi rispettiamo, e rispettiamo la vostra scelta ma vogliamo anche convincervi del fatto che noi abbiamo proposte, per il governo del Paese, migliori di quelle di colei per cui avete votato. Dietro, c’era l’idea di un partito a vocazione maggioritaria che non ha paura di rivolgersi agli elettori del partito avversario per convincerli a cambiare bandiera. Una idea, però, che può essere vincente solo se, nel Paese, il grado di polarizzazione politica (nel senso di Sartori) non è troppo elevato e il partito d’opposizione intende comunque operare per ridurre la distanza fra gli elettorati.

Con l’obiettivo di spostare a proprio favore quote di votanti dell’opposto schieramento. Coloro che nel Pd hanno criticato le dichiarazioni di Letta e Bonaccini avevano e hanno una concezione opposta. Nel momento in cui si difende l’idea che il capo del governo sia l’incarnazione del Male, ci si sta anche rifiutando di parlare ai suoi elettori. Hanno votato per il Male e quindi, proprio per questo, nemmeno loro meritano rispetto.

È una concezione più adatta a una condizione di elevata polarizzazione politica — nella quale esistono nemici e non avversari — e in cui, in ogni caso, compito dell’opposizione non è ridurre le distanze. Non si tratta di andare a «stanare» gli elettori dell’opposto schieramento. Le speranze di vittoria elettorale sono affidate solo al recupero di quegli elettori, potenzialmente di sinistra, che si sono fin qui rifugiati nell’astensione.

Diciamo che l’alternativa è fra un partito a vocazione maggioritaria — che presuppone una riduzione del grado di polarizzazione — e un partito che, all’opposto, enfatizza distanza e diversità.

Con Schlein sembra avere vinto la seconda idea di partito. Ma, naturalmente, solo fino a un certo punto: con Bonaccini presidente, Schlein cerca di tenere insieme le diverse anime del Pd. Il mondo della politica è, per l’appunto, complicato. Sorprese, cambiamenti non previsti, sono sempre possibili. Sono soprattutto le sfide internazionali a cambiare le prospettive, a incidere sulla vita delle democrazie, sui comportamenti dei governi come delle opposizioni. Siamo entrati in una fase della storia mondiale assai pericolosa (anche per l’Italia) … leggi tutto

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