di Ernesto Galli della Loggia
Sarebbe opportuno che la segretaria del Pd
rinunciasse a quelle svizzera e statunitense,
tenendo solo quella italiana
Non si vuole certo mancare del dovuto riguardo al cosmopolitismo, ma sommessamente sollevare solo un dubbio: non sarebbe stato opportuno che Elly Schlein nel momento in cui è diventata segretaria del Pd annunciasse di rinunciare alle due prestigiose cittadinanze delle tre che ha, quella statunitense e quella svizzera, decidendo quindi di accontentarsi della certamente meno accattivante cittadinanza italiana?
Oggi la Schlein è a capo del principale partito d’opposizione, ma domani, chissà, grazie a qualche imprevedibile terremoto politico-parlamentare qui da noi però sempre possibile, potrebbe magari trovarsi a essere addirittura in corsa per la Presidenza del Consiglio.
«Sta bene» mi chiedo — adopero volutamente questa categoria dell’etichetta: dal significato alquanto indefinibile eppure chiarissimo — che una persona in una tale condizione oltre che cittadina italiana sia anche cittadina svizzera e americana?
Cioè da un lato dell’unico o quasi Paese europeo che non fa parte dell’Unione e dall’altro di un paese come gli Usa con il quale è inutile sottolineare la complessità dei rapporti che intratteniamo sia come italiani che come europei? «Sta bene», ancora, che un giorno, mettiamo, i governanti di Berna o di Washington incontrandola possano chiedersi se l’italiana che si trovano davanti abbia votato per loro o per i loro avversari?
Ma la storia è fatta così. Spesso si compiace di paradossi. Per dirne uno, quello per cui accade che proprio il partito i cui lontani antesignani furono tra i maggiori apostoli della categoria del nazional-popolare, non stancandosi di proclamare ad ogni occasione le proprie radici italiane contro chi polemicamente li voleva «asserviti allo straniero», proprio quel partito si ritrova oggi a essere guidato da una donna che con i suoi tre passaporti non esita a mostrarsi italiana ma anche svizzera e americana.