di Mario Lavia
La passerella politica
Per evitare di essere ignorato dai media, il segretario del primo sindacato italiano ha organizzato a Rimini un evento che assomiglia a un talk show. Ospite d’onore: Giorgia Meloni
Lavoro? Contratti? Salari? Macché, il Congresso della Cgil che si apre oggi a Rimini vivrà mediaticamente sulla compagna Meloni, sul discorso che la presidente del Consiglio e leader di Fratelli d’Italia pronuncerà venerdì a mezzogiorno davanti a una platea un tempo nemmeno tanto lontano arcinemica. Una grande occasione, per lei, per dialogare con quel sindacato rosso da sempre odiato dalla destra e dalla estrema destra (quella dell’assalto alla sede nazionale del 9 ottobre 2021), peraltro ricambiate da un odio uguale e contrario.
Fatto sta che in questa sorta di “Maurizio Landini show” il segretario della Cgil ha scelto di giocare la carta mediaticamente più pesante per fa accendere le luci su un Congresso altrimenti ignorato da giornali e tv – non c’è nemmeno l’aspetto pepato di un minimo di battaglia interna, Landini verrà riconfermato al 99,9 per cento – e non sarebbe probabilmente bastata la pur notevole novità di Elly Schlein per farne un grande appuntamento.
E dunque c’è questo “Maurizio Landini show” con un tocco di Sanremo grazie al concerto di Roberto Vecchioni e con tanto talk show lungo un vero e proprio palinsesto informativo, dal presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo a Giovanni Maria Flick, da don Luigi Ciotti all’economista Mariana Mazzucato, poi giovedì la presentazione dell’ultimo libro di Lucia Annunziata che subito dopo coordinerà la tavola rotonda delle opposizioni con Elly Schlein, Giuseppe Conte, Carlo Calenda, Nicola Fratoianni e Landini in veste di gran federatore (ma magari si scoprirà che i leader non sono d’accordo su quasi niente), e seguire l’intervento della ministra del lavoro spagnola Yolanda Diaz e della bravissima attivista iraniana Pegah Moshir Pour.
Da tempo il segretario della Cgil si è autoassegnato il ruolo di “facilitatore” nell’eterno conflitto tra le opposizioni, stavolta ha dalla sua il fatto nuovo della completa ricucitura con il Partito democratico di Elly Schlein che ha espunto il riformismo, ma è probabile che finirà come al solito a chiacchiere e distintivo.
E le questioni sindacali? Boh. Ecco venerdì mattina tre ore di dibattito, ma poi alle 12 riprende il MLS (“Maurizio Landini show”) con l’intervento della premier, quindi Andrea Riccardi e il cardinale Matteo Zuppi, nel pomeriggio adempimenti vari; e sabato la famiglia Regeni e le conclusioni di Landini.
Altra domanda: e l’Ucraina? Un altro boh.
Certo, la coppia don Ciotti-Riccardi (il cardinale Zuppi, per la sua figura e il suo prestigio, va tenuto fuori da letture politiche), più il probabile comizietto di Giuseppe Conte durante la tavola rotonda, tutto ciò certo non prefigura un grande sostegno alla Resistenza del popolo ucraino. Peggio che a Sanremo: lì almeno una lettera di Zelensky è stata letta da Amadeus.
Evidentemente per Maurizio Landini, protagonista del pacifismo contrario al sostegno armato a Kyjiv, le priorità sono altre. Soprattutto quella farsi riconoscere dal potere politico in una fase nella quale il suo sindacato non può vantare grandi risultati: in questi lunghi mesi non ha portato a casa sostanzialmente niente, nemmeno a livelli contrattuale, ha mostrato quanto meno incertezza sui no vax, non ha intercettato il consenso dei giovani, ha rotto con la Confindustria di Carlo Bonomi, è sempre più lontani dalla Cisl, ha insomma bisogno di qualche cosa.
Per questo alzerà la voce, come fa sempre lui quando è in difficoltà, promettendo una stagione di lotte, forse fino a far balenare lo sciopero generale: un classico. Resta il fatto che a Rimini il numero uno della Cgil offrirà su un piatto d’argento a Meloni l’occasione per parlare a un mondo che non è il suo, accreditandola come leader nazionale: Meloni e Landini dunque si riconosceranno a vicenda, e non formalmente.
Si fa notare che ci sono dei precedenti: nel 1981 al congresso della Cgil parlò Giovanni Spadolini, primo presidente del Consiglio laico che era sensibilissimo e un po’ timoroso di quella che lui chiamava toscaneggiando la “Cigil” con la “g” strascicata; parlò Bettino Craxi nel 1986, come gesto per ricucire le due anime – comunisti e socialisti – dopo lo strappo sulla scala mobile; parlò Romano Prodi nel 1996, primo presidente del Consiglio amico.
Contesti diversissimi, personalità distanti anni luce dall’attuale presidente del Consiglio. Sempre invitati per un fatto di cortesia, non è automatico che i presidenti del Consiglio prendano anche la parola: andò a un Congresso della Cgil anche Silvio Berlusconi, ma senza salire alla tribuna. Giorgia invece parlerà, sfidando il pericolo di fischi: che non ci saranno, e alla fine la compagna Meloni, se non fa sciocchezze, il congresso lo vincerà lei.