Lucido riformismo
Il presidente francese ha fatto passare la riforma dell’età pensionabile nonostante le proteste di piazza dei sindacati. Il sistema previdenziale francese è insostenibile dal punto di vista economico e con privilegi corporativi deliranti
Emmanuel Macron ha scelto di giocare duro e ha imposto giovedì l’approvazione finale della sua contestatissima riforma delle pensioni senza il voto della Assemblée Nationale invocando l’articolo 49.3 della Costituzione. Questo articolo è il cuore del presidenzialismo francese impostato da Charles de Gaulle che ha garantito decenni di stabilità governativa alla Francia.
Si basa infatti sull’assunto costituzionale che il presidente eletto direttamente dal voto popolare ha una tale legittimità politica sostanziale che ha il potere di dichiarare che una legge è approvata ed entra in vigore anche senza il voto della Assemblée Nationale. Il primato totale dunque dell’esecutivo – che assume i suoi poteri perché derivati dalla legittimità democratica del presidente che lo nomina, senza voto di fiducia – sul Parlamento.
Come contrappasso e correttivo agli abusi, in caso di legge approvata facendo ricorso all’articolo 49.3, l’opposizione può far mettere ai voti mozioni di censura che, se approvate a maggioranza, fanno decadere la legge contestata. Ma Emmanuel Macron, il presidente, ha anche il potere monocratico, in caso di approvazione di una mozione di censura, di sciogliere l’Assemblée Nationale e di indire nuove elezioni. Potere che Macron ha apertamente dichiarato di voler esercitare.
Quindi è certo che nessuna mozione di censura avrà la maggioranza – come è successo già 11 volte in questa legislatura – perché non verrà votata dai 61 parlamentari neo gollisti di Les Républicains che temono il voto per la semplice ragione che i sondaggi indicano che una buona parte di loro non verrebbero rieletti.
È interessante notare che Emmanuel Macron e la premier Élisabeth Borne, che non dispongono di una maggioranza nell’Assemblée Nationale, hanno scelto la strada della dura prova di forza procedurale a causa della divisione tra le fila dei centristi neo gollisti di Les Républicains. Politicamente questo partito, per scelta del suo leader Éric Ciotti, è favorevole alla riforma delle pensioni presidenziale, tanto che questa, nella mattinata di giovedì è stata approvata dal Senato là dove Les Républicains sono il gruppo più consistente.
La differenza nella composizione politica delle due Camere è prodotta dal diverso tipo di elezione: l’Assemblée Nationale è eletta con voto popolare diretto, mentre il Senato, espressione dei comuni e dei Dipartimenti, è eletto in seconda battuta da centocinquantamila Grandi Elettori. Ma una parte dei deputati di Les Républicains ha spaccato il gruppo parlamentare e nell’Assemblée Nationale il governo rischiava di avere solo o due o tre voti di maggioranza o addirittura di vedere bocciata la riforma delle pensioni. Di qui la decisione di Emmanuel Macron e di Élisabeth Borne di ricorrere alla forzatura dell’approvazione della riforma delle pensioni con l’applicazione dell’articolo 49.3
Questi i fatti.
Sul piano politico generale va notata la piena tenuta dell’assetto istituzionale presidenziale e iper maggioritario prodotto dalla Costituzione gollista, che blocca i guasti del parlamentarismo assembleare e assegna all’esecutivo poteri effettivi di governo.
Ma si deve soprattutto prendere atto della lucida determinazione politica di Emmanuel Macron di sconfiggere con tutti i mezzi il populismo di massa pur di introdurre una riforma delle pensioni che è assolutamente indispensabile per la tenuta dei conti dello Stato (il debito pubblico in Francia è di 2956,18 miliardi – superiore a quello dell’Italia che è di 2762 miliardi – pari al 113,7 per cento del Prodotto interno lordo).
Populismo di massa che pure è stato in queste ultime settimane radicatissimo nella società francese ed è incarnato dalla leadership dei sindacati Cgt e Cfdt, seguitissimi in questa mobilitazione, in preda a un massimalismo predicatorio raramente visto.
La rivolta popolare contro l’innalzamento dell’età pensionabile voluto da questa riforma da 62 a 64 anni (in Europa la media è a 64,4 anni) è stata ed è massiccia e travolgente in tutta la Francia. Otto le giornate di sciopero generale e di mobilitazione con manifestazioni di centinaia di migliaia di partecipanti e blocco semi totale dei trasporti – Parigi è sommersa dai rifiuti per lo sciopero dei netturbini – con più di due terzi dei francesi contrari alla riforma secondo i sondaggi.
Una radicalità e una capillare diffusione della protesta di massa che ha eroso anche i favori dei media tradizionalmente sostenitori di Emmanuel Macron, come è il caso addirittura di Le Monde che rimprovera al presidente di non avere saputo contrattare con le parti sociali e i sindacati.
La realtà è però che i sindacati Cfdt e Cgt, così come la maggior dei francesi combattono la riforma delle pensioni in nome di valori e principi più che astratti – e di un rifiuto stesso del valore positivo del lavoro, che pure un tempo era patrimonio fondante della sinistra – e si rifiutano caparbiamente di fare i conti con un sistema previdenziale francese di fatto assolutamente non sostenibile dal punto di vista economico e con privilegi corporativi deliranti. Si pensi che i ferrovieri, i “cheminots” potevano sino a oggi andare in pensione tra i 50 e i 54 anni, a seconda dell’anno di nascita.
Emmanuel Macron, emulo oggi di Margaret Thatcher, del tutto incurante degli indici di popolarità, ha contrastato con vigore questa deriva populista e massimalista che pure tanta presa ha avuto nella società francese e ha imposto la sua, indispensabile, riforma.
Un esempio di buon governo. Ma anche di istituzioni golliste maggioritarie vitali ed efficaci dopo sessanta anni.