LETTERE AL DIRETTORE
Al direttore – Al congresso della Cgil, esibendosi davanti a un migliaio di sindacalisti, l’avv. prof. Giuseppe Conte ha dato prova del “giovanile incanto” dei suoi studi giuridici affermando che l’orario di lavoro è ancora disciplinato da una legge del 1923, dimenticando le profonde modifiche apportate dalla contrattazione collettiva, nonché la riforma intervenuta con dlgs n. 66 del 2003.
Giuliano Cazzola
Basterebbe leggere i report di Bankitalia per capire che il Jobs Act, caro Conte, che è una riforma a costo zero, “graduida”, ha contribuito, semplicemente, a creare, “graduidamente”, un milione di posti di lavoro.
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Al direttore – Sono tre i punti centrali della riforma delle pensioni approvata in Francia con il ricorso a un articolo della Costituzione che ha consentito di evitare il voto dell’Assemblea nazionale. Il primo è l’innalzamento progressivo dell’età pensionabile da 62 anni a 64 anni (sarà a regime nel 2030). Il secondo è l’abolizione graduale dei privilegi di cui godono diverse categorie di lavoratori (tra gli altri, i dipendenti dell’azienda di trasporti della capitale, delle reti di elettricità e gas, della Banca di Francia), in modo da basare il sistema previdenziale su un unico trattamento, a eccezione di chi ha svolto lavori usuranti. Il terzo è l’aumento dell’assegno minimo a 1.200 euro lordi mensili.
Se paragonata alla riforma Dini (1995) e alla riforma Fornero (2011), quella voluta da Macron somiglia a un tenero ramoscello d’ulivo. Eppure ha suscitato e sta suscitando una violenta reazione popolare, guidata da tutti i sindacati e da tutte le forze di opposizione. In questa vicenda l’inquilino dell’Eliseo ha dimostrato di essere un leader politico con una tempra invidiabile (altri non avrebbero esitato a chinare la testa di fronte a folle inferocite). Ma questa vicenda conferma anche una antica verità, ovvero – parafrasando Jean Mistler – che forse la maggioranza degli elettori ha sempre ragione, ma raramente la ragione ha la maggioranza degli elettori.
Michele Magno