Può bastare un lapsus a impiccare un uomo, un politico, uno statista?
Mercoledì, nel suo discorso alla Camera davanti a Giorgia Meloni, il vicecapo dell’opposizione Giuseppe Conte ha parlato del «delitto Andreotti», mai esistito, volendo in realtà alludere al «delitto Matteotti». Sui social lo hanno crocifisso, ma a chi non è mai capitato di sbagliare una parola e di accorgersene solo quando ormai gli era già scappata di bocca?
Diverso è il caso di quel presidente del Consiglio che, nell’evocare Piersanti Mattarella, il fratello del Capo dello Stato assassinato dalla mafia, lo definì genericamente «un congiunto» per non correre il rischio di sbagliarne il nome e il grado di parentela, a lui evidentemente ignoti.
O di quell’altro premier che, nel commemorare la drammatica ricorrenza dell’armistizio, della fuga del Re e della consegna di mezza Italia e dell’intero esercito ai nazifascisti, definì l’Otto Settembre «una data particolarmente simbolica della storia patria perché pose fine a un periodo buio e diede inizio a un periodo di ricostruzione prima morale e poi materiale, il miracolo economico», confondendolo (si spera) con il Venticinque Aprile.
Altro che gaffe o bisticcio verbale momentaneo: lì si trattò di un autentico ammutinamento nei confronti dei manuali di terza media.
Ora che ci penso, i due capi di governo appena citati erano la stessa persona: Giuseppe Monte. O Ponte? Mah, fate voi, e scusate il lapsus.