Russia, i reali impatti delle sanzioni occidentali (euronews.com)

L'Unione Europea sta preparando il suo undicesimo 
pacchetto di sanzioni contro la Russia. 

Molti politici e uomini d’affari a Mosca non sembrano però preoccuparsi: segno che le misure adottate finora non stanno funzionando come l’Occidente vorrebbe?

Il 29 marzo è stato lo stesso presidente russo Vladimir Putin ad affermare che le sanzioni potrebbero influire negativamente sull’economia russa, per lo meno sul medio termine. Ma, allo stesso tempo, il Cremlino ha anche riptutamente affermato che la Russia trarrebbe addirittura beneficio dalle restrizioni occidentali, poiché queste ultime le contribuirebbero adi “aumentare la sua sovranità economica e finanziaria”.

Ciò che occorrerà verificare è se Mosca sarà in grado di compensare ciò che sta perdendo nei confronti dell’Occidente rafforzando i legami con altre nazioni. “Ovviamente,- osserva Ian O. Lesser, vicepresidente e direttore esecutivo dello statunitense German Marshall Fund – il Cremlino sta cercando attivamente quei mercati perché l’Europa, in particolare l’Europa occidentale, rappresentava una quota importante dell’economia russa in termini di esportazioni ma anche di investimenti ricevuti. Da tutto ciò oggi la Russia è tagliata fuori, e questo ha certamente provocato un declino economico. Di qui la volontà di cercare alternative. Anche se, in realtà. non ce ne sono molte”.

Lo sguardo rivolto a Est

Uno dei principali obiettivi delle sanzioni sono state le risorse energetiche di Mosca. Inizialmente l’UE ha puntato a ridurre il più possibile le importazioni in arrivo dalla Russia. All’inizio di marzo, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che “la dipendenza dal petrolio e dal gas russo appartiene al passato”. Le forniture di gas, ad esempio, sono in effetti diminuite dell’80% e l’Europa è riuscita a compensare utilizzando altre fonti.

Da parte sua, il Cremlino ha fatto sapere di aver compensato le proprie perdite “rivolgendosi a Est”. Ovvero riorientando le esportazioni, innanzitutto verso la Cina e altri Paesi asiatici, “a condizioni più favorevoli”. Effettivamente, l’anno scorso i maggiori acquirenti di petrolio russo sono stati Cina, India e Turchia (prima della guerra l’India non acquistava quasi mai greggio da Mosca).

Alcuni esperti occidentali propongono tuttavia di osservare la situazione da un altro punto di vista. Da un lato, sottolineano come la percentuale di acquisti da parte di tali Paesi sia aumentata inevitabilmente, poiché a calare sono stati gli altri. Dall’altro, si è registrato un aumento delle forniture solo nei primi mesi dell’invasione: all’epoca le nazioni orientali si sono accaparrate le esportazioni già pronte poiché destinate inizialmente all’Occidente. E hanno potuto farlo a prezzi particolarmente vantaggiosi. Ma alla fine del 2022, ad esempio, la Turchia aveva già ridotto drasticamente le sue importazioni provenienti dalla Russia.

Risulta inoltre opinabile anche l’affermazione secondo la quale il Cremlino avrebbe negoziato “condizioni più favorevoli”, Ciò in quanto i Paesi che acquistano dalla Russia sono meno numerosi, e per questo sono in grado di dettare le loro condizioni. L’India e la Turchia, ad esempio, hanno acquistato il petrolio russo proprio perché il prezzo era molto più basso di quello di mercato. In altre parole, la Russia si trova nella stessa situazione a Est come a Ovest, se vende petrolio entro il “tetto di prezzo” delle sanzioni.

Inoltre, la “svolta a Est” riguarda appunto il petrolio, ma la Russia non è ancora riuscita a compensare le perdite legate alle mancate esportazioni di gas verso l’Europa. Secondo gli analisti, nel 2022 le forniture attraverso gasdotti sono calate del 45% e quest’anno si potrebbe arrivare ad un -90% rispetto al 2021. Mentre il gasdotto Power of Siberia-2 verso la Cina è ancora in costruzione.

L’Europa ha in parte trovato una via d’uscita sviluppando infrastrutture per il gas naturale liquefatto (GNL). Sia nell’UE che in Russia, proprio a causa dei gasdotti, il GNL era poco considerato. Ma ora l’Europa – con l’aiuto degli Stati Uniti – ha modo di creare un sistema di questo tipo. Per la Russia, invece, sarà molto più difficile nel contesto delle sanzioni tecnologiche. Sel’Europa occidentale in particolare continuerà ad allontanarsi dall’energia russa – prosegue Lesser – e in un certo senso siamo solo all’inizio di questo processo, per la Russia sarà molto difficile sostituire questi mercati”.

La soluzione legata al GNL, tuttavia, pone altri problemi, in particolare di ordine climatico. In molti hanno infatti sottolineato il fatto che le importazioni di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti, tenuto conto di tutti i processi di lavorazione, trasporto e rigassificazione, comportano un impatto in termini di emissioni di gas ad effetto serra tra due e tre volte superiore rispetto alla stessa fonte fossile importata via gasdotti.

Come operare in regime di sanzioni

Ma in che modo la Russia riesce ad operare in regime di sanzioni economiche? L’Iran è un Paese che vive sotto sanzioni da quattro decenni e che in questo senso può costituire un termine di paragone. Proprio alla luce delle sanzioni, Teheran ha sviluppato legami con Mosca che si sono ulteriormente rafforzati all’inizio del 2022. Secondo il governo iraniano, nello stesso anno la Russia è diventata il principale investitore estero del Paese, con una quota pari ai due terzi del totale. La Russia ha investito in particolare quasi 3 miliardi di dollari (circa 2,8 milioni di euro) in progetti industriali, minerari e di trasporto.

Inoltre, alcuni rappresentanti russi si sono recati nella Repubblica islamica proprio per apprendere in che modo ci si sia organizzati nel contesto delle sanzioni. Lo stesso Iran, inoltre, è diventato – secondo l’Occidente – un fornitore di armi per il Cremlino. La Russia è accusata di utilizzare attivamente droni “kamikaze” iraniani contro l’Ucraina, anche se sia Mosca che Teheran lo negano.

Il problema delle relazioni tra Mosca e Teheran è che i due Paesi non hanno molto da offrire l’uno all’altro: le fonti di reddito principali di entrambi risiedono principalmente nella vendita di idrocarburi. “La verità è che il timore di sanzioni territoriali aggiuntive da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, e ancora di più da parte degli Stati Uniti, è un’enorme inibizione per i legami economici a lungo termine con la Russia. Gli investitori a livello globale saranno molto preoccupati per l’affidabilità dei loro investimenti nel Paese, ma anche per il tipo di sanzioni a cui potrebbero esporsi”, osserva Lesser.

Grano per il “movimento proibito”

Per quanto riguarda l’Afghanistan, poi, in Russia i talebani sono considerati come organizzazione terroristica e le loro attività sono vietate. Mosca, come tutte le altre capitali mondiali, non ha riconosciuto come legittimo il loro governo a Kabul. Ciò non ha impedito alle due nazioni di stabilire relazioni diplomatiche: nel settembre 2022, i talebani hanno firmato un accordo commerciale con la Russia che è stato il loro primo – e finora il più grande – accordo internazionale. La Russia prevede di fornire all’Afghanistan 2,5 milioni di tonnellate di petrolio e gas e 2 milioni di tonnellate di grano all’anno.

Tuttavia, secondo gli esperti, gli interessi della Russia in Afghanistan sono più politici che economici: i talebani non saranno comunque in grado di pagare molto per le merci russe.

Mosca, anche se ufficialmente considera i governanti afgani degli estremisti, considera l’organzzazione dello Stato Islamico una minaccia molto più grande. È stato un gruppo vicino all’ISIS, ad esempio, a far saltare in aria l’ambasciata russa a Kabul nel 2022. Il sostegno ai talebani – anche attraverso il commercio – è visto perciò da Mosca come un contrasto agli islamisti radicali.

Collegamenti di trasporto con la Turchia

Negli ultimi anni le relazioni tra Russia e Turchia sono state altalenanti. La Turchia è un membro della NATO, ma non ha sostenuto le sanzioni contro il Cremlino e non ha, ad esempio, interrotto i collegamenti di trasporto con la Russia o vietato i viaggi ai cittadini russi. Di conseguenza, un anno fa è diventata di fatto un “ponte” tra la Russia e l’Occidente.

E secondo alcuni funzionari occidentali – in particolare del Tesoro statunitense – era anche un modo per aggirare le sanzioni. È stato ripetutamente riferito che la Turchia (insieme, ad esempio, al Kazakistan e agli Emirati Arabi Uniti) riesporta in Russia merci vietate dalle sanzioni. Ankara nega tali accuse. Tuttavia, dietro pressione degli Stati Uniti e per paura di sanzioni da parte di Washington, la Turchia sta gradualmente iniziando a seguire almeno alcune delle restrizioni.

Così, già lo scorso autunno le banche turche hanno smesso di accettare le carte del sistema di pagamento russo Mir. A metà marzo, le autorità aeronautiche turche hanno annunciato l’interruzione dell’assistenza e del rifornimento di aerei di fabbricazione statunitense registrati in Russia e Bielorussia, su richiesta degli Stati Uniti.

E anche il forte calo degli acquisti di petrolio russo in Turchia è attribuito ai timori di ripercussioni. “La Russia – aggiunge ancora Lesser – ha ovviamente cercato un modo per far passare alcune delle sue merci non sanzionate o addirittura alcune di quelle sanzionate per raggiungere comunque i mercati globali. Di recente, la Turchia ha rappresentato un tramite per gran parte di queste attività. Ankara, ovviamente, è in un certo senso nel campo occidentale, nella NATO, ma non applica le sanzioni. La Russia ha potuto approfittare della Turchia come mercato relativamente aperto”.

Modernizzazione

Inoltre, la Russia sta (di nuovo) discutendo la possibilità di “usare” le sanzioni per cambiare radicalmente la struttura del commercio estero, per abbandonare le esportazioni di materie prime, che stanno diventando sempre più difficili sotto le sanzioni, e per modernizzare l’economia. Ma sono le sanzioni a rendere questo processo estremamente difficile.

Esse, infatti, secondo Lesser “sono state concepite, di fatto, in gran parte per impedire questo processo. Le nuove tecnologie, le componenti elettroniche e altri prodotti che sarebbero necessari per ammodernare la produzione russa, per rilanciare l’industria degli armamenti e la produzione di energia, sono sempre più limitati, per non parlare del problema del capitale umano, delle persone altamente qualificate che non vogliono lavorare in Russia e dei mercati che non vogliono investire lì”.

Il rublo e lo yuan

Infine, per quanto riguarda il rapporto con la Cina, la visita del presidente Xi Jinping a Mosca a fine marzo 2023 è stata presentata da molti media russi come “la fine dell’egemonia statunitense”. Vladimir Putin non ha nemmeno escluso che la Russia passi sempre più allo yuan (renminbi) nei pagamenti legati al commercio estero, abbandonando il dollaro e l’euro. Secondo la Banca di Russia, nel 2022 la quota dello yuan nel commercio estero russo è passata dallo 0,5% al 16%. Tuttavia, si precisa che si tratta della valuta con la quale sono stati effettuati i pagamenti e non con la quale sono stati stipulati i contratti.

La Russia si aspetta che la Cina sia in grado di sostituire ampiamente le relazioni commerciali con l’Occidente, sia per quanto riguarda le esportazioni che le importazioni. L’Occidente, tuttavia, ritiene a sua volta che la visita di Xi sia stata legata soprattutto all’avvio di una cooperazione politica, più che economica. I presidenti hanno firmato in effetti dichiarazioni sullo sviluppo di partnership fino alla fine del decennio, ma non sono stati segnalati progetti specifici su larga scala.

Ciò detto, per la Russia, la Cina era e rimane il più grande partner commerciale (tra i singoli Paesi). Ma per la Cina, la Russia non è nemmeno tra i primi cinque. Il volume degli scambi commerciali con la Cina è addirittura diminuito nel 2022: lo scrivono gli autori di un rapporto pubblicato nello scorso mese di settembre sul partenariato strategico tra Russia e Cina, redatto dal Valdai Discussion Club (organismo pro-Putin). Secondo il rapporto, sebbene Pechino non sostenga ufficialmente le sanzioni anti-russe ed esorti le aziende a resistere alle pressioni occidentali, in alcuni casi gli uomini d’affari preferirebbero la prudenza.

La Russia conta sulla Cina, non da ultimo, come fornitore di tecnologie industriali per sostituire quelle vietate dalle sanzioni. Ma la Cina stessa dipende in larga misura dagli Stati Uniti in termini di tecnologia. E gli esperti dubitano fortemente che, per amore di Mosca, Pechino aggravi le relazioni con Washington, già oggi non idilliache.

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