System failure
I lavoratori specializzati sono fuggiti all’estero, mancano componenti, e ci sono limitazioni legate alle sanzioni: il Cremlino sta accusando il contraccolpo dell’invasione criminale e il suo settore hi-tech vive una crisi irreversibile
«Come la Russia ha ucciso la sua industria tecnologica». Così la Mit Technology Review, l’influente rivista del Massachusetts Institute of Technology, ha titolato il suo racconto sul modo in cui nei mesi successivi all’inizio dell’invasione, la Russia ha subito un’emigrazione senza precedenti di lavoratori specializzati nelle tecnologie dell’informazione: almeno centomila persone nel solo 2022, che sarebbe il dieci per cento degli addetti in un solo anno.
E mentre questi centomila se ne andavano, anche un migliaio di società straniere riducevano le loro operazioni nel Paese al minimo, per evitare le sanzioni. «I lavoratori del tech che hanno lasciato tutto per fuggire dalla Russia avvertono che il Paese sta per diventare un villaggio: tagliato fuori dall’industria tecnologica globale, dalla ricerca, dai finanziamenti, dagli scambi scientifici e da componenti critiche».
L’industria tecnologica, spiega la rivista, non era il settore più importante dell’economia russa: non rappresentava che il 3,2 per cento del Pil totale del Paese. Era però uno dei suoi principali motori, dal momento che tra il 2015 e il 2021 ha originato oltre un terzo della crescita del Pil del Paese, raggiungendo nel 2021 i tremilasettecento miliardi di rubli: 47,8 miliardi di dollari.
L’impatto è stato particolarmente devastante per Yandex, spesso definita il «Google russo»: l’azienda offriva infatti una novantina di servizi che dominavano il mondo digitale russo. Tra questi c’erano la sua piattaforma di contenuti Zen e la piattaforma di aggregazione di notizie Yandex News, utilizzata da milioni di russi per avere informazioni. Infatti, nelle settimane successive all’invasione russa dell’Ucraina a Yandex News si è rivolto un numero record di utenti, pari a quattordici milioni al giorno.
Ma presto si sono resi conto che almeno il settanta per cento delle informazioni era propaganda di media controllati dal Cremlino, anche perché comunque su ogni notizia non allineata pendeva la mannaia della censura.
«Se Yandex facesse una dichiarazione contro la guerra, potrebbe significare la fine dell’azienda», ammise Anastasiia Diuzharden, allora responsabile del content marketing di Yandex Business. Con questa linea, però, tre settimane dopo l’invasione il suo amministratore delegato Tigran Khudaverdyan fu sanzionato dall’Unione europea per aver nascosto al pubblico informazioni sulla guerra e si è dimesso dal suo incarico, mentre le azioni Yandex venivano cancellate dal Nasdaq.
Alla fine, la società ha finito per vendere le sue piattaforme di notizie e contenuti a VKontakte (VK), un concorrente descritto come «la Facebook russa» ma controllato da società statali. Nove mesi dopo l’inizio dell’invasione, Yandex ha annunciato che avrebbe cessato di esistere nella sua forma originale. Quest’estate la società si dividerà in due parti: una componente russa e un’altra di proprietà della sua ex madre, con sede nei Paesi Bassi. La componente russa sarà affidata a una società di gestione speciale composta da tre funzionari di Yandex e dall’economista filoputiniano Alexei Kudrin.
Problemi ha avuto anche Skolkovo: importante hub di innovazione che tentava di riprodurre Silicon Valley. Molte delle sue startup e aziende hanno avuto infatti difficoltà ad accedere a finanziamenti e altre risorse a causa delle sanzioni, e nel 2022 gli investimenti in capitale di rischio nelle società russe sono diminuiti del cinquantasette per cento, crollando a 1,1 miliardi di dollari.
È vero che la crescente domanda di soluzioni hi-tech per le sfide militari e di sicurezza ha creato nuove opportunità per le aziende con sede nello hub, e in più il governo russo ha promesso «finanziamenti senza precedenti» per la sua industria elettronica: fino a trecentodiciannovemila miliardi di rubli, 41,2 miliardi di dollari, entro il 2030.
Ma un conto è promettere e un conto è realizzare, con stime dello stesso governo che collocano l’industria russa dei chip da dieci a quindici anni indietro rispetto al resto del mondo.
Nei prossimi mesi, secondo gli esperti consultati dal Mit Technology Review, l’industria tecnologica russa dovrà affrontare il gravissimo problema della interruzione della sua catena di approvvigionamento, dal momento che molti dei componenti e dei materiali da cui dipende provengono dall’Ucraina o da Paesi occidentali che hanno sanzionato la Russia.
Secondo il think tank Bruegel, con sede a Bruxelles, prima dell’invasione la Russia importava annualmente circa diciannove miliardi di dollari di prodotti hi-tech, la maggior parte dei quali (sessantasei per cento) proveniva dall’Unione europea e dagli Stati Uniti. A causa delle restrizioni commerciali, la Russia ha anche perso l’accesso ai prodotti di una serie di aziende leader, tra cui Cisco, Sap, Oracle, Ibm, Tsmc, Nokia, Ericsson e Samsung.
Ciò ha causato ritardi e aumento dei costi per le imprese. Inoltre, il settore continuerà a soffrire duramente per la carenza di talenti e l’aumento del controllo del governo, timoroso di un libero accesso pubblico alle informazioni online.