28 novembre 1959
Primo giorno di lavoro. Giampiero mi accompagna in fabbrica e mi consegna a un uomo grasso con la tuta di fustagno. Lui ha già seguito la trafila. La fabbrica è situata all’estremità del paesino, in mezzo alla campagna. È grande e di aspetto moderno. Ho visto entrare diecine e diecine di operai, quasi tutti italiani. Alcuni li ho già conosciuti.
Ci viene incontro, lungo il corridoio, un uomo zoppo con i cappelli folti, il viso magro e lo sguardo severo. Indossa anche lui una tuta di fustagno dalle cui tasche spuntano chiavi e cacciaviti. Il vecchio parla un attimo con lui, mi sorride, si volta e torna indietro.
“Kom!” dice lo zoppo.
Mi porta vicino a un forno e mi mostra una macchina ferma.
Poi comincia a darmi dimostrazioni sul modo di usarla: alza una leva e lo stampo si apre, aggiusta i bocchettoni, accende il gas e dice alcune parole che naturalmente non capisco. Intanto, però, si sono avvicinati alcuni connazionali -un calabrese, un bergamasco, un veneto- e tutti quanti cominciano a tradurre le parole dello zoppo, a darmi istruzioni e consigli, a parlare del più o del meno.
Dopo cinque minuti lo zoppo chiude la conchiglia (ho già imparato che lo stampo si chiama in questo modo) prende il ramaiolo, si avvicina al forno, pigia un pedale azionando il meccanismo che apre lo sportello, attinge il metallo, torna indietro e lo vuota lentamente dentro la conchiglia. In attesa che il metallo si raffreddi estrae di tasca una scheda gialla e me la porge.
“C’è scritto quanti pezzi devi fare”, dice il veneto. “E il tempo del cottimo”.
“Fregatene!” dice il bergamasco. “Tanto il cottimo, quì, non si becca mai” … leggi tutto