Il governo non è imbattibile, ma alle opposizioni mancano idee (e coraggio) (linkiesta.it)

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Afasia democratica

Il flop alla Camera sullo scostamento di bilancio ha mostrato una maggioranza fragile, ma per gli inesistenti grillini e per il Pd senza una direzione precisa i problemi sembrano molto complicati da affrontare (a meno che non prevalgano i pragmatici)

La figuraccia parlamentare della destra sul Def riparata ieri con un secondo voto non è un segnale di sfarinamento politico della maggioranza ma produce un effetto psicologico nuovo: passa l’idea che il governo Meloni non sia imbattibile e che per così dire il campionato non sia chiuso. È vero, la maggioranza non ha avuto i voti necessari per dabbenaggine tutta sua, e però è giusto notare che i deputati dell’opposizione non solo c’erano ma si sono fatti sentire in modo forte anche nella turbolenta seduta di ieri (a proposito, auguri di pronto recupero ad Angelo Bonelli che ha accusato un malore dopo essere intervenuto) fino al punto di uscire dall’aula dopo uno sgraziato discorso del capogruppo di Fratelli d’Italia Tommaso Foti.

Adesso si può finalmente dire che in campo non c’è più un solo giocatore ma due: c’è anche l’opposizione, e dunque persino alla Camera (al Senato la situazione è ancora più in bilico) è possibile che nelle votazioni il governo debba conoscere altri stenti. Ma più in generale se i cittadini si accorgono che questi qua non sono l’alfa e l’omega della politica italiana, che non sono i padroni del Paese, che non sono nemmeno questi grandi professionisti della politica, beh, allora non è detto che a livello di umore popolare qualcosa non sia destinato a cambiare.

Il Paese ha visto uno scivolone parlamentare che è giunto a coronamento di una serie di svarioni clamorosi firmati via via da Matteo Piantedosi a Andrea Del Mastro, da Giovanni Donzelli ad Augusta Montaruli, da Ignazio La Russa a Fabio Rampelli, un elenco che qui non mette conto di riepilogare anche perché ci vorrebbe troppo spazio, e questo mentre le sfide si moltiplicano soprattutto nel campo della politica economica malgrado lo spot del Primo maggio quando il governo regalerà una quindicina di euro al mese ai lavoratori dipendenti e in compenso aumenterà la flessibilità nel mercato del lavoro, senza qui dire dell’assoluta incertezza sul Pnrr resa plasticamente in Parlamento da un ministro, Raffaele Fitto, che appare privo del necessario standing tecnico e politico.

Di fronte a queste difficoltà del governo stenta a venir fuori non tanto un’alternativa di governo – nessuno è così sciocco da pensare che bastino sei mesi a costruirla – ma almeno un embrione di programma alternativo. Il sospetto è che nelle stanze del Nazareno e in quelle di Italia Viva (forse Azione è più attrezzata) le idee scarseggino a causa di un deficit di conoscenza di dossier che sono ogni giorno meno maneggevoli – dall’immigrazione alla crescita economica -, un deficit dovuto a un rinsecchimento dei rapporti tra gruppi dirigenti e competenze esterne: è un problema che si pone da anni.

La questione naturalmente riguarda soprattutto il Partito democratico in quanto forza di gran lunga principale dell’opposizione (ah, se non stiamo parlando del Movimento 5 stelle non è per dimenticanza ma perché non c’è proprio nulla da scrivere al riguardo), in questi mesi affaccendato prima in un estenuante congresso e poi alle prese con la nuova struttura di vertice.

Tuttavia, superate queste fasi, il problema della afasia democratica sembra permanere. È possibile che ciò sia il risultato di una «debolezza di visione» della segretaria (Stefano Folli su Repubblica) o a un «mix velleitario tra radicalismo velleitario e vaghezza dorotea» che starebbe connotando la leadership di Elly Schlein, (Vittorino Ferla sul Riformista), può darsi che dipenda dalla inesperienza del nuovo gruppo dirigente, può darsi infine che sia effetto di una certa propensione aventiniana, come scrive Repubblica, oppure per tutte queste ragioni insieme, ma sta di fatto che ci vorrebbero più Carlo Cottarelli e più Vincenzo Amendola (due nomi a caso) per ribattere non propagandisticamente ma nel merito ai ministri e alla stessa presidente del Consiglio.

Vedremo – ma non sembra realistico – se ci saranno altre uscite dal partito dopo quelle di Enrico Borghi, Andrea Marcucci e la più sorprendente di tutte, quella di Caterina Chinnici, una storica esponente antimafia che ha scelto di entrare in quella Forza Italia che lei, sicilianissima, dovrebbe ben conoscere ma è sicuro che dietro questi casi individuali si celi un certo – come chiamarlo – spaesamento per l’accumulo di messaggi diversi o l’esternazione di non-messaggi (come sul termovalorizzatore di Roma). Il problema non è tanto quello della famosa armocromia ma quello dell’uscita di Elly dall’età dell’innocenza, dal suo trattenersi un po’ adolescenziale dal dire chiaramente i sì e i no, della restituzione alla politica del suo necessario spessore intellettuale e dell’indispensabile cognizione tecnica proprio nel senso weberiano.

Dagli altri nuovi dirigenti finora non è venuto nulla e infatti tutti, dentro e fuori il Pd, reclamano più chiarezza, più contenuti, più pragmatismo. Ecco perché potrebbe essere una buona notizia l’iniziativa di due deputate, Marianna Madia e Lia Quartapelle, che invece di fondare l’ennesima microcorrente hanno pensato di dar vita a una serie di seminari aperti a tutti e soprattutto con l’aiuto di esperti esterni finalizzati a mettere giù idee e programmi, una roba semplice e non cervellotica come erano le misteriose Agorà dell’Era lettiana giustamente finite nel dimenticatoio, un’iniezione di pragmatismo rivolta a riannodare i fili con i mondi delle competenze. Se le due deputate ci riusciranno, nascerà la prima corrente utile: quella dei pragmatici.

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