di Dino Cofrancesco
La seconda metà del ‘ 900 ha messo in soffitta il secolo d’oro delle ideologie.
La sua stella polare è stata il Settecento, l’età dei diritti dell’uomo e del cittadino, il secolo che ha guardato con diffidenza alla tradizione e alle istituzioni del passato. Ne ha fatto le spese, a livello di civic culture, l’idea dello Stato ridotto ad apparato amministrativo al servizio del legislatore illuminato— il monarca filosofo, i rappresentanti del popolo. Nell’Ottocento si era stabilito un complesso equilibrio tra la comunità politica— con la sua ragion di Stato— il diritto sempre più rivolto al genere umano, l’economia e la religione, dimensioni restie ad essere regolate e messe in forma dalla politica.
Nell’ambito dello Stato nazionale la protezione dei diritti lockeani— alla vita, alla libertà, alla proprietà— veniva garantita ma nessun governo avrebbe seguito il principio: fiat justitia, pereat mundus. Quando i diritti individuali erano in conflitto con la salus rei publicae, a prevalere era la seconda. I regimi liberali erano un mix di egoismo collettivo e di tutela delle libertà civili. Il Parlamento inglese chiese scusa a Giuseppe Mazzini per la violazione della sua corrispondenza privata ad opera della polizia ma ciò non impediva al governo di S. M. Britannica di depredare il pianeta, suscitando guerre infami come quella dell’oppio.
Il diritto veniva fatto valere ( e in modo efficace) solo quando non disturbava la politica. E’ nota la confessione del Gran Conte: se avessimo fatto per noi quel che abbiamo fatto per l’Italia saremmo considerati dei farabutti. Ed era Cavour, non il Principe di Bismarck! Lo Stato era un composto di bene e male, di luci e di ombre, di patriottismo irriflesso (‘ giusto o sbagliato, è il mio paese”) e di forti idealità … leggi tutto