di Mario Lavia
Cry me a Roccella
La segretaria del Partito democratico non ha condannato la manifestazione a Torino contro la ministra della Famiglia. Una strategia per radicalizzare il suo elettorato ma che offre un regalo inaspettato a un esecutivo incapace di governare, ma che è un campione mondiale di chiusura mentale e intolleranza
Che bel regalo hanno fatto alla destra i contestatori di Torino! Impedendo a Eugenia Roccella di presentare il suo libro (su suo padre Franco, storico dirigente del partito radicale), hanno dato a una Montaruli fresca di condanna per peculato, l’occasione per scatenarsi contro il mite direttore del Salone del libro Nicola Lagioia e a questo punto a dirigenti e giornalisti-dirigenti di Fratelli d’Italia di fare le vittime per i giorni a venire. Il solito copione.
Il problema politico è che la radicalizzazione impressa da Elly Schlein al Pd ha impedito al suo partito di esprimere una doverosa condanna delle intemperanze torinesi. Un altro segno che dimostra che il Partito democratico ha scelto di darsi un profilo estremista per sfidare il governo e presentarsi così tra un anno alle elezioni europee, snodo della legislatura e non solo.
Estremista in che senso? Nel senso che si attribuiva a questo termine negli anni Settanta, ma in altre forme anche dopo, alle formazioni che stavano alla sinistra del Partito comunista italiano (Pci) e più tardi dei Democratici di sinistra (Ds) o dell’Ulivo, segnate da alcune caratteristiche: poca o nulla disponibilità a cercare mediazioni, rigidità ideologica, intransigenza e mancanza di pluralismo interno, acquiescenza nei confronti dell’intolleranza se non della violenza, vittimismo nei confronti del potere.
Persino lo slogan schleiniano «la sinistra deve fare la sinistra», in sé banale, suona come un monito a non deviare dalla retta via, denota l’ansia di alzare steccati, evoca un preliminare desiderio di tagliare le unghie a chi volesse esplorare altre e meno ortodosse strade (già, non pare aria di grande dibattito interno, vedremo quanto saranno pluraliste le liste dem alle Europee).
La mancata condanna della contestazione violenta di Torino ai danni della peraltro insopportabile Roccella è uno dei segni più preoccupanti di questa involuzione. Chi non lascia parlare ha torto, punto e basta: così avrebbero detto i capi del Partito comunista italiano.
Invece Schlein che non a caso viene da un’altra scuola – non è chiarissimo quale ma anche per la sua giovane età certo non quella degli storici partiti democratici – ha invece sostenuto le ragioni del “dissenso” che in verità nessuno ha mai negato, essendo il problema un altro, quello di come esso si manifesta: e con questo precedente che si fa, si va a interrompere le presentazioni dei libri sgraditi o i comizi degli avversari? E attenzione perché un domani se dovessero venire i fascisti 4.0 a impedire a Schlein di parlare, che dirà, che è “dissenso”?
Detto questo è anche corretto riportare le cose a un loro giusta dimensione: i fatti del Salone del libro non sono la cacciata di Luciano Lama dall’Università nel ’77, tantomeno l’assalto squadristico dei neofascisti alla Cgil di pochi anni fa. Ma sono il primo episodio, in sé piccolo, di un clima difficile, di un potenziale cortocircuito tra una certa destra illiberale e una certa sinistra intollerante.
La cosa inquietante è che la mancata condanna da parte di Schlein incoraggia a vellicare questa intolleranza che ha riscaldato i cuori di diversi elettori di sinistra, di intellettuali di una certa età che hanno alzato il pugno dietro le loro scrivanie. C’è un professore universitario che ha teorizzato «il diritto a interrompere» ed editorialisti super-borghesi che si pensano come novelli Gaetano Salvemini e dirigenti dem che ora scoprono il “dissenso” dopo anni di stanco parcheggio nei ministeri.
Questo rigurgito di settarismo veicolato dal secondo piano del Nazareno, lo dicevamo all’inizio, naturalmente è un regalo servito su un piatto d’argento a un governo che di chiusura mentale è campione e che con alcuni suoi esponenti (il presidente del Senato Ignazio La Russa in primis) non fa altro che provocare, da via Rasella alla sostituzione etnica. Bel capolavoro.
Chi ha più anni ricorda la famosa frase che rimbalzava nei cortei sindacali di tanti anni fa: non rispondete alle provocazioni! Saggezza perduta nel vento di questi anni post-populisti nei quali ognuno si alza per dire qualunque piccineria, senza razionalità e senza rispetto, anni di livello medio-basso, di clima volgare e violento rispetto al quale la sinistra dovrebbe essere il principale antidoto e rischia invece di essere complice, e al tempo stesso vittima designata.
(italiaoggi.it)