di Matteo Renzi e Aldo Torchiaro
Il conduttore di Report e il bavaglio
La storia che stiamo per raccontare è molto strana. E persino divertente per tante ragioni. Il protagonista si chiama Sigrido Ranucci che un simpaticone, diciamola tutta, non sembra.
Magari ha doti nascoste di irresistibile humor ma diciamo la verità: visto in TV e letto nei messaggi che invia, tutto sembra tranne che un comico in erba. Domenica sera Ranucci va a cena in un locale chiamato Cefalù.
A capo tavola siede il discusso Valter Lavitola, personaggio noto alle cronache di una decina di anni fa. Alla sua destra monsignor Gianni Fusco, alto prelato e collaboratore del Segretario di Stato Parolin. Alla sua sinistra, appunto, il conduttore di Report.
Fare il processo alle intenzioni per gli incontri è un’attività che non riguarda il giornalismo di inchiesta, ma il gossip di basso livello. Quello per intendersi che spesso fa Report nei confronti degli altri. La notizia è semplice: una controversa figura, un monsignore non notissimo e un giornalista famoso condividono in allegria lo stesso tavolo. La pubblichiamo con un taglio basso.
Quando capiamo chi è l’alto prelato ci torniamo sopra perché sapere che Lavitola e Ranucci non solo si “attovagliano” (Dagospia dixit) insieme, ma addirittura ospitano un autorevole esponente del clero, merita attenzione. Il file del Riformista inizia a girare dalle 21. Quando il giornale arriva a Ranucci parte un film che è contemporaneamente spassoso e antipatico.
Alle 22.45 infatti squilla il mio telefonino. Solo che io sono già a letto a leggere e non me ne accorgo. Vedo la chiamata un’ora dopo. E scopro con stupore che mi sta cercando nientepopodimeno che Sigfrido. Non mi scriveva dall’11 giugno 2021, pieno caos “Autogrill”. Allora mi avevano garantito che avrei potuto rispondere in diretta alle accuse legate alla famosa vicenda dell’incontro di Fiano Romano ma poi Ranucci mi aveva personalmente comunicato che “la diretta non è possibile. Per fattori anche indipendenti dalla nostra volontà”
Alle 23.44 scrivo a Ranucci. “Mi ha cercato?” e lì partono 22 – ventidue – messaggi di Sigfrido. Mi spiega di essere sotto scorta per “un progetto di omicidio”, mi scrive che “i miei della sicurezza hanno identificato chi ha scattato la foto” (chissà se hanno rispettato le procedure necessarie per prendere le immagini) girandomi dei video di telecamere di cui lui è in possesso e che “è bene che lei sappia che il suo emissario ha fatto un’intercettazione abusiva”. Il mio emissario? Una intercettazione? Mi verrebbe voglia di dire “A Sigfrì, ma che stai a dì?”.
E poi “i suoi” della sicurezza che accedono a telecamere e diffondono immagini teoricamente coperte da riservatezza, violando la libertà e la privacy del giornalista? Tutte tesi interessanti specie se spiegate da chi su vicende analoghe diceva il contrario: come non ricordare l’Autogrill e tutte le polemiche collegate sul diritto della libera stampa di fotografare persone pubbliche?
Ci sono delle curiosità ovviamente. Come mai nessun quotidiano – con la lodevole eccezione dei colleghi, bravissimi, de “Il Foglio” – riprende questa notizia? Come mai nessuna associazione si scandalizza per chi vorrebbe mettere il bavaglio al bravo Aldo Torchiaro o ai colleghi de “Il Riformista” come di altre testate. Cioè: la solidarietà viene data a Ranucci che si fa tutte le trasmissioni Rai (e La7) per dire che no, lui non accetterà mai il bavaglio, e poi tutti zitti quando è Ranucci a voler mettere il bavaglio a Torchiaro?
E come mai Ranucci si preoccupa che nessuno pubblichi sue foto con altre persone sostenendo che essendo lui sotto scorta mette a repentaglio la vita dei suoi commensali? La stessa attenzione viene riservata ai membri delle nostre famiglie quando vengono fatti oggetto delle amorose cure di Report?
Cioè la domanda è: ma ci crede davvero o pensa che siamo tutti improvvisamente rimbambiti? Noi sappiamo bene che cosa è e come funziona la trasmissione Report di Sigfrido Ranucci. Che è cambiata rispetto ai tempi della Gabanelli. Conosciamo la rete di amicizie, spesso istituzionali, che Ranucci vanta. E che non fa mistero di richiamare ovunque. Sappiamo che Ranucci è considerato per molti un intoccabile dalla Rai al punto che ha minacciato due membri della commissione di vigilanza (il controllato minaccia il controllore?) e anziché una reprimenda ha ricevuto un buffetto. Prendiamo atto.
Ma c’è una cosa che non possiamo accettare: gli insulti. Ranucci mi scrive che la foto è stata scattata da “quello scemo di Torchiaro”. Mi indigno e replico: “Aldo Torchiaro è un signor professionista, un giornalista e non è uno scemo. La invito a rispettare i suoi colleghi. Noi rispetteremo ogni regola deontologica. Buonanotte”. E lui risponde alle 23.52: “è scemo”. Se l’ordine dei giornalisti avesse una qualche dignità domani mattina aprirebbe un procedimento contro Ranucci. Se i colleghi che hanno difeso Ranucci sull’Autogrill avessero una qualche coerenza domani mattina chiederebbero conto di questa aggressione verbale.
Se la nuova dirigenza Rai avesse una qualched volontà di novità, prenderebbe informazioni su questa vicenda. Non accadrà. E allora del metodo Sigfrido ci occuperemo noi, nei prossimi giorni. Lo faremo rispettando le regole della deontologia professionale. Quelle che Ranucci evidentemente non ricorda più. Perché insultare un collega perché fa il suo lavoro è il punto più basso per un giornalista professionista. Detto questo: se qualcuno insulta un giornalista de Il Riformista, insulta tutta la redazione. E allora questo articolo esce a doppia firma per dire che tutti noi stiamo dalla parte di Aldo Torchiaro con l’orgoglio di chi non si fa insultare, minacciare, ricattare.