Abusi
Il presidente della Repubblica ha avuto un vertice con i presidenti di Senato e Camera sollecitandoli a non ammettere emendamenti del tutto estranei alle materie dei provvedimenti urgenti. Alla fine dell’iter, ci si si ritrova così, per la promulgazione, un testo spesso irriconoscibile
Era stato presentato come incontro «di routine», del quale ufficialmente non è nemmeno stata data notizia. Ma al Quirinale – scrive La Stampa – si è tenuto un summit ai massimi livelli istituzionali per ragionare di un fenomeno che ormai sembra completamente sfuggito di mano: i decreti legge.
Non solo se ne sfornano troppi, e questo governo in particolare ne sta producendo in media uno alla settimana, ritmo da record; ma in Parlamento c’è chi ne approfitta per infilare nei decreti delle misure del tutto estranee alle materie dei provvedimenti urgenti. Sono i cosiddetti decreti omnibus.
Lo strumento per far traghettare questioni estranee all’impianto dei decreti sono gli emendamenti parlamentari, di cui la stessa maggioranza si avvale in modo sistematico, talvolta d’accordo con l’esecutivo, per soddisfare le più svariate esigenze. Il risultato è che alla fine dell’iter il presidente della Repubblica si ritrova sul tavolo, per la promulgazione, un testo spesso irriconoscibile, completamente diverso da quello che aveva autorizzato il governo a presentare. Un malcostume antico.
Ma questo governo avrebbe esagerato. Ecco perché il Capo dello Stato Sergio Mattarella non poteva più far finta di nulla. E ieri ha invitato nel suo salotto i presidenti del Senato, Ignazio La Russa, e della Camera, Lorenzo Fontana, scortati dai rispettivi segretari generali.
Per quanto nulla sia filtrato dal Quirinale sui contenuti del colloquio, tantomeno da Palazzo Madama e da Montecitorio, La Stampa scrive che Mattarella avrebbe sollecitato i suoi ospiti a prendere con decisione l’iniziativa contro l’ammissibilità degli emendamenti che trasformano le norme in decreti omnibus.
Il Capo dello Stato non ha titolo per intervenire sui lavori del Parlamento. Semmai è un compito che spetta ai presidenti dei due rami. I quali avrebbero assicurato a Mattarella la loro massima disponibilità e si attiveranno in futuro per evitare incidenti spiacevoli come quello capitato la scorsa settimana alla Camera, quando il «decreto bollette» era stato bloccato un attimo prima del voto finale e «ripulito» in tutta fretta di quattro emendamenti fuori contesto.
Il punto di vista di Mattarella, comunque, è noto fin dal 24 febbraio scorso, quando il presidente aveva accompagnato la promulgazione del decreto «Milleproroghe» con una lunga lettera a La Russa e Fontana in cui, nel pieno rispetto della loro autonomia costituzionale, lasciava intendere che da loro si aspettava passi concreti.
Se il governo eccede nella decretazione (finora già 25 i provvedimenti urgenti a fronte di sole 5 leggi ordinarie), e se il Parlamento peggiora la situazione con emendamenti che non c’entrano nulla con l’urgenza, la prima reazione non può che venire dalla seconda e dalla terza carica dello Stato. Per esempio, offrendo «corsie preferenziali» ai normali disegni di legge governativi.
Oppure sollecitando i presidenti delle Commissioni parlamentari a bocciare senza troppi complimenti quelle richieste di modifica che, se venissero approvate, trasformerebbero i decreti in strani mostri, mettendo il garante della Costituzione nella spiacevole condizione di doverli bocciare.