Perché Gruber, Floris e Berlinguer amano tanto Travaglio, Di Battista e Orsini? (startmag.it)

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La fascinazione per la bêtise nei nostri 
salotti televisivi.

Un giorno Lilli Gruber, Giovanni Floris, Bianca Berlinguer dovranno spiegare perché gli ospiti più gettonati nei loro salotti televisivi sono stati pittoreschi personaggi – da Travaglio a Di Battista a Orsini, per fare solo qualche nome – che, dissimulando il proprio odio per l’occidente con un pacifismo ipocrita, hanno avvelenato i pozzi del discorso pubblico sull’invasione dell’Ucraina. Malafede o stupidità? Mi sia consentita una breve digressione letteraria per tentare una risposta.

Uno dei personaggi della “Nausea” di Jean-Paul Sartre, l’Autodidatta, legge le opere che trova in biblioteca per ordine alfabetico d’autore, rinunciando a qualsivoglia criterio selettivo. “L’uomo senza qualità” di Robert Musil racconta come il generale Stumm von Bordwehr catalogasse le principali correnti filosofiche alla stregua di eserciti contrapposti: su un fronte gli empiristi, sull’altro i razionalisti; di qua gli idealisti, di là i materialisti.

Ma le idee, poiché non obbediscono a ordini e schieramenti precostituiti, si prendono gioco di lui. L’Autodidatta e il generale sono con ogni probabilità altrettanti omaggi a Bouvard e Pécuchet, i protagonisti del romanzo omonimo di Gustave Flaubert. Come loro, ce la mettono tutta per farsi passare per competenti, ma di fatto restano due splendidi idioti.

Dopo l’opera eponima di Miguel de Cervantes, Alberto Arbasino considerava quel romanzo come il libro più bello del mondo: “La fascinazione per la bêtise, per la stronzaggine umana, da nessun autore è mai sentita con un’ingordigia così entusiastica e parossistica”.

In questo senso, i due copisti sono i veri precursori del nostro tempo, gli eroi trasversali della presunzione che, con la loro zavorra di ottusità e di pregiudizi inscalfibili, si affacciano imperturbabili sulla moderna società dello spettacolo. E allora: aridatece la grigia, monotona, noiosa, soporifera Tribuna politica di Jader Jacobelli. Talvolta c’era il rischio di addormentarsi, è vero, però i contaballe e loro minchiate non avevano il diritto di asilo che hanno oggi.

Puntualmente, ogni volta che la Terra Santa è teatro di un bagno di sangue, in taluni ambienti dell’intellettualità radicale viene adombrata l’ignobile equivalenza tra il genocidio nazista degli ebrei e la repressione israeliana dei palestinesi. Si tratta di una smaccata distorsione della verità storica, che non sempre viene contrastata con la necessaria decisione.

Del resto, il pregiudizio antigiudaico affonda le sue radici in una millenaria tradizione. È così accaduto che un ex senatore pentastellato abbia potuto gettare impunemente l’allarme sul disegno antico dei banchieri dal naso adunco di controllare il mondo, attingendo al vecchio paradigma vittimistico del falsificatori dei “Protocolli di Sion”.

Ma se questo può essere considerato come un clamoroso caso di miseria politica e culturale domestica, assai più inquietante è un fenomeno che rischia di prosperare anche a ovest di Allah. Mi riferisco a quel negazionismo secondo cui gli ebrei, le “false vittime” di ieri di un genocidio “inesistente”, sono i veri persecutori di oggi. Come è noto, per i suoi teorici lo Stato d’Israele è un’impostura, l’abusivo destinatario di una solidarietà deviata.

La sua nascita e la sua esistenza si avvalgono quindi di un’indebita patente di legittimità morale, sono soltanto il frutto della cattiva coscienza dell’occidente. In questo delirio della ragione la Shoah diventa un “mito”, il sionismo l’avatar del complotto giudaico, il governo di Tel Aviv la sua intelligenza e il suo avamposto militare.

È sufficiente dare un’occhiata ai social di questi giorni per farsi un’idea del largo consenso di cui ormai godono queste tesi aberranti. Il pericolo di un revival dell’antisemitismo in Europa resta perciò assai serio. Tuttavia, il continente che ha visto sterminare “i più europei e meno nazionalisti dei suoi cittadini” (Amos Oz) non può pensare di riconciliarsi con il proprio passato e di progettare il proprio futuro come comunità di destino abbassando la guardia contro gli “assassini della memoria” (Pierre Vidal-Naquet).

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