Se non sull’Ucraina, quando?
Non stupisce l’abbraccio di Schlein all’avvocato del populismo che con i suoi saltimbanchi difende il suprematismo russo, perché sono evidenti i segnali di un disimpegno del Partito democratico dalla battaglia più importante del nostro tempo. È arrivato il momento di prenderne atto
Sono stato a Napoli a parlare di Ucraina e di Europa (perché alla fine, dai, di che altro vuoi parlare) con la vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno, il presidente del Copasir Lorenzo Guerini e il deputato Alessandro Alfieri, tutti esponenti del Partito democratico, assieme al premio Nobel per la pace 2022 Oleksandra Matviichuk e al premio Sacharov 2022 Yulia Paievska, una paramedica che i russi hanno rapito e torturato a Mariupol per mesi, colpevole di aver curato le vittime di guerra di entrambi i fronti e di essere ucraina, quindi di non essere un essere umano, secondo il secolare suprematismo russo con cui sono stati lavati i cervelli di intere generazioni russe e di molti farabutti italiani che inondano le piazze televisive e politiche del nostro paese.
Nessuno ha difeso, difende e difenderà il popolo, le istituzioni e i governi dell’Ucraina, dell’Europa e del mondo libero più di Picierno e di Guerini, veri paladini della resistenza antifascista del XXI secolo. È commovente ascoltarli mentre raccontano le visite a Kyjiv o a Bucha, gli incontri istituzionali, le iniziative legislative e di governo a favore di chi oggi si trova in prima linea nel grande scontro globale tra la dittatura criminale e assassina russa e la speranza di una vita libera, democratica e prospera dell’Ucraina e dell’Europa, a favore di chi si trova al fronte tra le tenebre e la luce a combattere per la propria sopravvivenza fisica e indirettamente anche per noi.
Picierno e Guerini sono esponenti di primo piano del Pd, il partito italiano che più di ogni altro il 24 febbraio 2022 si è schierato senza tentennamenti dalla parte dell’aggredito e della libertà e contro l’aggressore e la barbarie criminale del dispotismo imperialista.
Sedici mesi dopo il Partito democratico però non è più lo stesso, ha una nuova leader, una vecchia classe dirigente e una ritrovata sintonia con i gruppettari che in questi anni hanno alimentato odio e risentimento innanzitutto contro il Pd.
Oggi la Schlein guida come una leader studentesca una fazione minoritaria di ex civatiani, peraltro senza nemmeno Pippo Civati, di movimenti surreali come le sardine e di vecchie ciabatte, di reduci e di combattenti salvati dall’umido.
Schlein, inoltre, conta su un grottesco establishment di partito che la detesta ma che finge di sostenerla per ragioni puramente di interesse personale, e anche su una base di amministratori locali e di militanti che vorrebbe urlare il proprio malcontento a squarciagola, ma che rinuncia perché non sa dove sbattere la testa e quindi aspetta terrorizzata e sfiduciata che passi la nottata.
Qui non si tratta di criticare per l’ennesima volta il rapporto subalterno del Pd nei confronti di Giuseppe Conte e del populismo becero, perché di ciò sono colpevoli quasi tutti i predecessori dell’attuale segretaria, ma di segnalare la prossima capitolazione civile e morale del Pd sulla questione più rilevante del nostro tempo.
Sull’Ucraina, sull’Europa, sulla democrazia e sulla libertà europea sotto scacco di Putin, a parole la linea del Partito democratico non è ancora cambiata, ma i segnali sono eloquenti: sono cominciate le distinzioni scabrose alla Conte, gli ammiccamenti osceni alla propaganda russa e le stravaganti manovre di personaggi inadeguati al compito come il capogruppo a Bruxelles Brando Benifei, uno che è anche sfortunato perché aveva puntato tutto sulla sconfitta di Schlein alle primarie e per questo ora si agita in modo scomposto per recuperare terreno, per moderare l’entusiasmo democratico pro Ucraina e per convincere i socialisti europei a frenare, ottenendo una sonora e splendida pernacchia.
Lo sbandamento del gruppo Pd in Europa che sull’Ucraina vota sì, vota no e si astiene, e i trucchetti parlamentari sul no all’emendamento pro Ucraina seguito dal sì al voto finale, per non perdere del tutto la faccia, sono passi goffi e imbarazzati ma in realtà anche spediti e decisi verso un cambio di linea del Pd a favore del disimpegno italiano ed europeo nei confronti del popolo ucraino che lotta contro l’imperialismo russo.
La via è segnata. Per questo non stupisce che sabato Schlein sia andata in piazza a baciare la pantofola del Masaniello di Volturara Appula, impegnato assieme ai soliti utili saltimbanchi a diffondere la propaganda di Putin e del suprematismo russo contro l’Occidente, l’America e l’Europa, come ormai non fa più nemmeno la destra estrema e reazionaria.
E così il partito che, piaccia o no, ha mantenuto in piedi il paese nella tempesta politica ed economica degli ultimi dieci anni e che, nonostante le scivolate populiste, ha tenuto la barra dritta sulla questione cruciale dell’attacco militare e ideologico russo all’Europa adesso sta accelerando una corsa scellerata verso la catastrofe civile e morale di una comunità politica che si definisce democratica e progressista, ma che si sta inesorabilmente trasformando in un agente della conservazione reazionaria e in volenteroso carnefice di Putin.
Guerini, Picierno, Alfieri, Gentiloni, Gori, Orfini, Quartapelle, Sensi, Maran e gli altri eroi democratici che per dignità personale su questo punto non intendono arretrare di un millimetro dovrebbero però cominciare a prendere il coraggio a due mani e staccare la spina prima che il nuovo corso Schlein travolga anche loro.