Furono i Greci a chiamarlo così: Indiano.
Attribuivano quel nome ai mari a sud dell’Asia, poiché pensavano che si trattasse di un oceano chiuso da una lunga striscia di terra che collegava i continenti, la Terra Australe, un mito che durò fino al XVI secolo. Nonostante la mancanza d’una precisa definizione geografica l’Oceano Indiano è stato per secoli il mare dei mercanti. Se il Pacifico è l’oceano dei migranti, il suo Sudovest è costellato di isole, l’Indiano è invece il mare dei commerci: la presenza umana è determinata dalla forma delle sue coste, scrive David Abulafia.
Basta guardare una mappa per capirlo: la concentrazione di isole comincia solo ai suoi confini orientali, ma lì inizia il Pacifico con Indonesia e Malaysia, mentre dall’altra parte, verso l’Africa, c’è il Madagascar, la quarta isola al mondo per estensione, formatasi per distacco dalla placca africana 115-120 milioni di anni fa. Lontana dall’India è rimasta, come l’Australia, isolata per 88 milioni di anni, fino a che i malesi, o forse gli indonesiani, non la raggiunsero partendo dai confini del Pacifico.
L’Oceano Indiano è difficile da misurare. Ha una estensione di 75 milioni di chilometri quadrati e con le sue acque copre il 27% dello spazio marino, tuttavia a meridione i confini non sono ben chiari, là dove comincia l’Oceano Antartico. Comprende il Mar Rosso, il Mar Arabico, il Mare delle Andamane, il Mare di Timor, e contiene alcuni grandi golfi: Aden, Persico, Bengala, Grande Baia Australiana.
La sua origine geologica è legata al distacco dell’India da Gondwana nel Paleozoico, nome dato dagli studiosi alle terre da cui presero forma i continenti dell’emisfero meridionale, circa 100 milioni di anni fa. Andando verso nord si scontrò con la zolla euroasiatica. La sua struttura topografica è composta di vari segmenti dorsali e faglie.
I geologi hanno determinato che queste dorsali si alzano dal fondo creando così una forma a Y capovolta: la Dorsale di Carlsberg, dal nome del produttore di birra che nel 1928 ne finanziò lo studio; la Dorsale HM Owen, dal nome della nave di ricerca che portava gli studiosi che la scoprirono nel 1963; e la Dorsale di Aden, la città dello Yemen descritta da Marco Polo.
La sua forma dipende strettamente dal costituirsi della catena Himalayana, così trasportati dall’Indo e dal Gange sul suo fondale s’accumulano a forma di conoidi i detriti delle sue immense montagne. Dal punto di vista della storia umana è senza dubbio l’Oceano che ha avuto il maggior numero di scambi sin dai tempi più remoti, poiché comprende il Mar Rosso, che è prossimo alle civiltà più antiche, ricche e innovative dell’antichità: Egitto e Mesopotamia (Abulafia). Inoltre le merci che si rendevano disponibili lungo le rive di questo mare sono sempre state bramate da tutti: rame, materiali di lusso come l’ebano nero e l’avorio bianco, o la mirra.
Gli Egizi, in particolare, grandi bruciatori di incenso, la cercavano, mentre i fenici erano interessati dall’oro. Dall’Oceano Indiano arrivavano: cannella, cardamomo, pepe, zenzero, cassia; poi perle, diamanti, zaffiri, smeraldi, berillio, turchese. La seta era importata dalle sue coste, come pure le bestie feroci: leoni, leopardi e pantere.
A dare unità a questo oceano, il più salato e il più caldo di tutti, sono però i monsoni. Si originano nelle temperature alte dell’aria che si sviluppa sulla massa continentale asiatica d’estate.
Dall’oceano arriva da nordest aria più fresca, mentre in inverno accade il contrario: la massa continentale si raffredda bruscamente e l’oceano conserva il suo calore. Il risultato è che fra giugno e ottobre i venti sono favorevoli per la navigazione dal Sudovest dell’oceano verso l’Indonesia, per quanto sotto una coltre insistente di pioggia calda.
La violenza dei venti costringeva i marinai ad attendere la fine dell’estate, per via delle burrasche, fino al termine di agosto, per quanto ci fosse la possibilità nei tre mesi precedenti di potersi spostare, ma senza grandi certezze. L’inverno era il periodo migliore per le barche e i sambuchi per andare da Aden alla costa africana orientale.
Chi per primo capì la macchina termica dei monsoni, senza padroneggiarne ovviamente la fisica, fu Ippalo, un mercante greco che nel 20 d.C.; discese il Mar Rosso e raggiunse l’India, come racconta l’anonimo autore, un greco egiziano, del Viaggio attorno al mar Rosso, giunto a noi attraverso una versione bizantina, uno dei libri più affascinanti dell’antichità. I monsoni determinano inoltre i cicli alimentari che riguardano le due coltivazioni principali lungo le coste di questo oceano: il grano (anche miglio o altri cereali) e il riso.
A occidente sta l’area del pane e a oriente quella delle grandi risaie con un prodotto di qualità e forme diverse: grosso e rotondo, magro e lucido, poi bianco, marrone, rosa, giallo. Secondo Abulafia furono le eccedenze di cereali, grano o riso, ad assicurare il successo degli stati emersi nell’antichità e nel medioevo sulle coste dell’Oceano Indiano: Sumeri III e II millennio a. C, e Angkor in Cambogia.
Raccontare le storie dei paesi che si affacciano su questo oceano, dall’India alla Cina, che pure lo navigò con qualche ritrosia, significa narrare la storia degli imperi e degli stati extraeuropei, un pezzo di storia quasi sempre escluso dai nostri libri scolastici, eppure fondamentale per capire il mondo in cui viviamo oggi.
Prima dell’arrivo delle grandi navi europee, quelle dei portoghesi in particolare, i sambuchi arabi, le navi indiane, malesi e indonesiane attraversarono le acque dell’oceano sfidando i venti alisei e accrescendo la babele di lingue parlate: austronesiane, filippino, malese e gli idiomi polinesiani.
Come nella celebre scena del bar di Guerre stellari, i porti erano una strana mescolanza di popoli tutti diversi per cui le spezie costituivano la prima e più ricercata merce. La circolazione delle acque dell’Oceano Indiano, il suo respiro profondo, si divide tra una meridionale e una settentrionale: dalla costa dell’Australia occidentale verso il Madagascar, poi si separa in due rami, uno a Nord e uno a Sud. è.
Noi differenziamo gli oceani sulle nostre carte geografiche, ma in realtà l’Oceano, Okeanòs per i greci, divinità primordiale più vecchia degli dei dell’Olimpo, è una sola e unica realtà: le acque superficiali dell’Indiano sono collegati alle acque superficiali calde del Pacifico, che attraversano gli stretti di mare tra Asia sudorientale, isole dell’Indonesia, Nuova Guinea e Australia, così che l’intera superficie degli oceani appare sempre collegata. Una realtà da cui dipendiamo.
Questo articolo è precedentemente apparso su la Repubblica, che ringraziamo
Cosa leggere per saperne di più
La storia complessa dell’Oceano Indiano è raccontata da D. Abulafia in Storia marittima del mondo (Mondadori); dal punto di vista oceanografico: E. J. Rohling, Oceani, Edizioni Ambiente e Enrico Bonatti, Come nascono gli oceani (Dedalo Edizioni); S. Regazzoni, Oceano. Filosofia del pianeta (Ponte alle Grazie); tra i libri stranieri: Michael Pearson, The Indian Ocean (Routledge).
In copertina, Sydnea ©Petros Koublis.
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