Marco. Io, quando vado al cinema, mica vado a vedere quelli di cowboy, vado a vedere quelli di donne nude, eh! eh! (risatina maliziosa)

Insegnante. E pensi che gli altri non lo facciano? Il Peppino, per esempio…

Peppino. Non è mica vero!

Marco. Anche in classe portiamo giornali di donne nude. Ci guardiamo per imparare, perché se uno va a letto con una ragazza e non sa quello che fa, lo prendono per finocchio. A scuola i giornali qualcuno li porta anche per farsi ammirare dagli altri. Che lui sa già tutte queste cose qui..

(…)

Franco. I ragazzi che vengono a scuola e non sanno niente, non hanno visto niente, quando vedono quei giornaletti di donne nude, si riproducono sulle ragazze, le toccano, gli saltano addosso, gli fanno tutti gli scherzi che vogliono…(si interrompe perché le ragazze protestano)

(…)

Enzo. Le madri le femmine le tengono in casa, perché anche loro quando sono grandi diventano madri, devono fare certi lavori, maglie, così…e le madri dicono che, tenendo in casa le femmine, le bambine, dicono che sia un aiuto in più, che le aiutano a fare i lavori domestici, scopare, far da mangiare…

(…)

Marco. Vorrei fare una domanda a loro: perché le ragazze, quando noi gli saltiamo addosso, non ci stanno mai?

Insegnante. Forse perché la sentono come una violenza…

Maria. Per i ragazzi è tutto diverso, anche se vanno insieme a una ragazza più volte, non gli dicono niente; invece, appena una ragazza la vedono insieme a un ragazzo, ne parlano subito male.

Lucia. I maschi, quando tu gli fai qualcosa, la prima cosa che ti dicono è: oh, le femmine sono tutte prostitute, non sanno niente! Ma perché non si guardano un po’ loro?

Enzo. Io vorrei dire che questo rapporto non va bene, tra ragazzi e ragazze».

Il materiale offre uno squarcio anche sulla mentalità attuale. Parla del conformismo morale dell’adolescente che ha già fatto propria la proibizione e la condanna del sesso attraverso la famiglia e tutte le istituzioni del perbenismo. C’è l’incapacità dei due sessi di porsi in un rapporto diretto tra di loro, per cui i maschi guardano le donne dei giornalini e le ragazze parlano di ragazzi che non si occupano di loro (amori non ricambiati, non dichiarati). Ci sono inoltre già abbozzati i termini della questione femminile.

Chi pensa che la femmina sia destinata alla casa e alla maternità, e quelli che vorrebbero la donna liberata da questi compiti tradizionali.

Nel momento in cui si scopre che la vita personale, la sessualità, gli affetti, l’immaginario sono sempre stati dentro la storia e la cultura, e che è importante sottrarli alla “naturalizzazione” che hanno subito, cambia inevitabilmente anche l’idea di educazione e di sapere. Si trasmette innanzi tutto “quello che si è”, nell’interezza del proprio essere e non solo quello che si dice o si sa. La cultura deve diventare cultura della vita: dare voce al vissuto, all’esperienza singola, fatta oggetto di riflessione collettiva, interrogare i saperi disciplinari a partire da ciò che non dicono, che hanno cancellato o deformato.

I corpi, la sessualità, gli stereotipi di genere, i sentimenti, la relazione con l’altro, il diverso, hanno nella scuola il loro teatro primo -insieme alla famiglia -, ma anche il loro inquadramento secondo norme di ordine e disciplina. La “rivoluzione culturale” dovrebbe portare alla luce i segnali del “sottobanco” che salgono come elementi disturbatori dalle zone inesplorate di noi stessi. Ma, come sa ogni insegnante, trova non pochi ostacoli nell’ideologia patriarcale ancora dominante, schierata oggi più che mai nel nostro Paese sulla difesa della famiglia tradizionale, del ruolo materno delle donne, dell’eterosessismo normativo.

L’educazione di genere, di cui si torna a parlare oggi dietro la spinta dei dati allarmanti sulla violenza maschile contro le donne, se non vuole restare un generico invito al rispetto reciproco deve avere il coraggio di andare alla radice di un dominio del tutto particolare quale è quello di un sesso sull’altro, intrecciato e confuso con le relazioni più intime.