Nessuno lo dice – e tanti sono quelli che si illudono – ma la strada per una proficua cooperazione giudiziaria con l’Egitto, che consenta cioè di arrivare alla verità e di avere giustizia per Giulio Regeni, è tutta in salita e per vari motivi.
Il primo è che il presidente Al Sisi non può permettersi di lasciar processare all’estero 5 dei suoi ufficiali del Dipartimento della Sicurezza Nazionale, per il semplice fatto che così metterebbe a repentaglio da un lato la base stessa del suo potere – che si fonda sull’arbitrio e sull’impunità garantita ai suoi sgherri – e dall’altra l’equilibro sempre più delicato fra i diversi servizi di intelligence che puntellano il suo regime.
Sbandierare perciò una presunta “disponibilità” da parte del presidente egiziano – come hanno fatto già in passato e continuano a fare le nostre autorità – significa solo ignorare o sottovalutare la realtà egiziana e le dinamiche interne all’attuale regime. (Eric Lang, cittadino francese, ucciso nella sua cella in Egitto nel 2013)
La verità è che Al Sisi mente sapendo di mentire. E così come ha fatto finora, continuerà a tergiversare, cavillando sulle richieste dei giudici italiani e contando sul fattore tempo per uscire indenne dal caso Regeni, consegnandolo all’oblio. Non bisogna dimenticare a questo proposito che i giudici di Roma hanno a disposizione solo sei mesi per chiudere la loro inchiesta.
E se l’Egitto non acconsentirà nel frattempo alla consegna del domicilio legale dei suoi 5 ufficiali iscritti nel registro degli indagati – è questo il primo passo chiesto alle autorità del Cairo – non sarà tecnicamente possibile processarli. Con l’Egitto, peraltro, l’Italia non ha nessun tipo di accordo, a livello di cooperazione giudiziaria … leggi tutto