Partiti canaglia
I progressisti cedono sempre più spesso alle ragioni dei finti pacifisti e i conservatori non hanno mai nemmeno nascosto le simpatie per Mosca. Un atteggiamento praticamente identico, che infatti gli uni non possono rinfacciare agli altri
Nel giudicare i felici e sempre più sfrenati cedimenti progressisti alle ragioni della pace pacifista, a soluzione e liberatoria di un anno e mezzo di attorcigliamenti sulla pace mica tanto buona ma comunque migliore della guerra (Enrico Letta), sulle armi che non risolvono il conflitto (Elly Schlein), sui ripensamenti in piazza arcobaleno sotto le insegne di Hamas e dei fascistelli a Cinquestelle, ripensamenti visto che di armi all’Ucraina «ne abbiamo mandate tante» e la guerra accidenti non è finita (Gianni Cuperlo), varrà la pena di ricordare il contegno dell’altra parte.
Non tanto le dismissioni di t-shirt dell’ex comunista padano, in raggomitolata attesa di tempi più adatti, pacifismo aiutando, alla rivalutazione «di una delle persone più lungimiranti al potere sulla faccia della terra». E nemmeno l’eco della voce “liberale” che deplorava l’incapacità italiana ed europea di capire che l’amico di lettone voleva solo mettere delle persone perbene al posto dei drogati e degli omosessuali che comandano a Kyjiv. Questo è stato il folklore – per quanto osceno – delle presunte genuinità atlantiste di casa nostra.
Ma la ciccia di un approccio effettualmente identico stava nelle ambiguità e nelle latitanze dei meno compromessi, vedi l’Antonio Tajani che, in granitica postura pre-ministeriale, insidiato dalla temibile domanda sull’impegno italiano a favore della resistenza Ucraina supercazzolava sulla fornitura di armi «difensive», e poi si lanciava nell’esempio (testuale) dei «giubbotti antiproiettile».
Ritenutezze, chiamiamole così, cui l’attuale ministro degli Esteri si obbligava non si sa se per compiacere Arcore o Mosca, sempre che in argomento una cosa non valesse l’altra.
La realtà è che l’ipocrita e anguillesca posizione progressista sulla guerra all’Ucraina (posizione della quale, almeno da queste parti, si scrive da tempo) non ha dovuto fare pubblicamente i conti con un fronte avversario che ne assumeva una veramente diversa, e da una parte e dall’altra si è perlopiù trattato di andare avanti con juicio: da sinistra senza pregiudicare definitivamente le prospettive di affascinante avventura e tenendo buona la trippona del partito in eterna ruminazione antiamericana; da destra nella facile e nominalistica riaffermazione delle appartenenze occidentali, ma per carità senza lasciarsi andare alle divisive maleducazioni di Joe Biden e, mi raccomando, senza dimenticare che d’accordo le ragioni degli aggrediti ma ci sono anche le bollette degli italiani.
Elly Schlein che preparava l’odierno cammino verso la pace pacifista difendendo i passati voti sugli aiuti con l’argomento secondo cui si trattava di una scelta «da non condannare» (solo una mezza colpa, insomma) agghindava in forma rainbow-friendly la sostanza di un atteggiamento identico a destra.
E la verità è che il nostro profilo di Stato canaglia è stato solo un poco più smascherato, a sinistra, e a sinistra va ulteriormente smascherandosi in modo appena più esibizionistico. E non a caso da destra non glielo rinfacciano.