Spese militari, Schlein non calcola i rischi: dalla rottura dell’equilibrio geopolitico alla perdita di credibilità in politica estera (ilriformista.it)

di Enrico Borghi

Se l'Italia si chiama fuori dagli accordi NATO

Gli investimenti nel settore sono in aumento, e rischia di venir meno il meccanismo della deterrenza. Le politiche di difesa, sicurezza e alleanza, richiedono statisti dotati di lungimiranza e forza d’animo. Ma il “nuovo Pd” dell’estate militante, pensa che sia più facile risolvere tutto strimpellando una chitarra nel segno del “peace and love”

L’ultima uscita di Elly Schlein, contraria al percorso di allineamento al 2% delle spese militari sul PIL decise in sede NATO da governi a guida Pd e da ministri della difesa espressione dei Dem, merita un approfondimento perché abbraccia almeno quattro campi di lavoro su cui una decisione simile esplicherebbe le proprie conseguenze: un campo geopolitico, uno di politica della difesa, uno di politica estera ed uno di politica interna.

Analizzando nel merito questi quattro aspetti, è più facile rilevare la conseguenza della portata delle affermazioni di Schlein, che hanno già fatto scattare il campanello d’allarme in zona Nazareno viste le dichiarazioni di Lorenzo Guerini e il ritorno in campo, sul modello dei riservisti, di Luigi Zanda che dalle pagine di Repubblica pone un altolà alla paladina dell’estate militante sul tema delle spese militari.

Geopolitica: deterrenza elemento chiave

C’è una regola essenziale nella geopolitica: quando una nazione diventa decisamente più potente di una sua possibile rivale, il pericolo della guerra aumenta. Per questo, serve che le principali realtà globali si mantengano sul terreno dell’equilibrio, bilanciando anche sul fronte militare uno con l’altro. È il meccanismo della cosiddetta “deterrenza”: si predispongono misure per dissuadere il nemico da mettere in atto azioni di attacco.

Con questo strumento dissuasivo, l’umanità ha evitato l’olocausto nucleare nella seconda metà del Novecento, in un’epoca di corsa agli armamenti.
Come ebbe modo di scrivere lo storico Andrew Roberts, commentando i costi della guerra delle Falkland nel 1982 che superarono i 7 miliardi di dollari, “risulta lampante la seguente verità: spese per la difesa relativamente alte rappresentano comunque un buon investimento, in quanto lo scontro aperto è sempre assai più costoso della deterrenza”.

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