di Goffredo Buccini
Destra e sinistra
La realtà è quell’intrusa che, pure a ignorarla, non svanisce. Una massima che andrebbe applicata in dosi massicce alle politiche italiane sull’immigrazione. Se esiste una questione da affrontare con approccio bipartisan è proprio la gestione dei flussi e dell’accoglienza. Non tanto per buon cuore, intendiamoci, quanto per buonsenso: perché, se oggi io la strumentalizzerò contro di te dall’opposizione, posso star sicuro che tu la userai contro di me quando sarò io al governo. Conviene? No.
Ma siccome le migrazioni sono un argomento (apparentemente) facile da far capire agli elettori, nessuno resiste alla tentazione di brandirlo come una clava. Ciò che sta avvenendo in questi giorni di impennata negli sbarchi, con quota centomila già polverizzata nei primi otto mesi dell’anno e un aumento del 103% rispetto al 2022, dovrebbe tuttavia costituire una potente lezione per leader e partiti.
Nella grande storia delle migrazioni umane (avremo un miliardo di sfollati nel mondo entro il 2050, a noi tocca amministrare la nostra quota-parte nel modo meno stupido possibile) i fatti si dimostrano più forti della visione che ne raccontiamo: politicizzarli è il peggior servigio che possiamo fare al Paese. Accade dunque che la destra, cresciuta nei consensi sul mantra dei rimpatri fulminei, dei porti chiusi e del blocco navale, si trovi, ora che è a Palazzo Chigi, di fronte a una crescita di flussi seconda solo all’anno della grande ondata 2016 (181 mila arrivi).
E scopra quindi che i rimpatri sono rari e difficoltosi (servono accordi bilaterali, inesistenti), i porti non si possono chiudere (fuor di propaganda, non sono mai stati chiusi davvero) e che il blocco navale sarebbe un autogol (diverrebbe un pull factor, un traino per i barconi dei disperati che punterebbero le nostre navi per farsi salvare, vi spiegherà qualsiasi ammiraglio).
Certo, dopo aver promesso mirabilie, è difficile far capire all’opinione pubblica la cruda realtà di un’immigrazione dalla parvenza inarrestabile. Sicché il governo tenta di difendere l’utilità degli accordi con la Tunisia («funzionano, è in calo la curva della crescita degli sbarchi…», azzarda un po’ il ministro Piantedosi) e prova ad accentrare tutto, convocando «permanentemente» il Cisr (il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica), anche se è dura immaginare l’uomo del bar che si rasserena ripetendosi «meno male che il Cisr c’è!».
Più in generale, la destra di governo ammonisce la sinistra d’opposizione: non speculateci sopra. Naturalmente, la sinistra, memore di quanto la destra ci abbia speculato sopra per anni accusandola di lassismo quando non addirittura di promuovere la «sostituzione etnica», ha deciso di rendere la pariglia ai rivali. E, con uno straniante ribaltamento di ruoli, s’è messa a strillare all’emergenza migratoria con toni talvolta vicini al leghismo d’antan, bollando la destra di incapacità.
Qui emergono, però, due problemi. Primo: è molto difficile sostenere questa posizione se per anni s’è fatto finta che la questione non esistesse affatto (pur con la virtuosa eccezione di Marco Minniti al Viminale) e si è messo in piedi lo sgangherato sistema d’accoglienza che abbiamo sotto gli occhi, figlio, in gran parte, d’un certo lavorio non sempre cristallino del centrosinistra negli anni Dieci.
Secondo: le migrazioni non sono un’emergenza, e la sinistra dovrebbe ben saperlo. Sono strutturali, esistono, sono la realtà di questo tempo in cui il pianeta s’è di botto fatto più piccino; quindi, non è realistico addebitarle alla destra. Sarebbe tempo, insomma, di liberarsi di due atteggiamenti mentali in egual modo nocivi: l’idea messianica del migrante quale portatore di valori che salveranno la nostra deprecabile società occidentale (ergo, «accogliamoli tutti!») e, per converso, quella millenaristica del migrante quale flagello della nostra civiltà e dei nostri sacri costumi (quindi, «respingiamoli tutti a mare!»).
I migranti servono all’Italia, lo dicono gli imprenditori, e bene ha fatto il governo a prevedere un decreto flussi da quasi mezzo milione di lavoratori stranieri in tre anni: una mossa che la sinistra non ha mai avuto il coraggio di fare. Purtroppo, l’incontro tra domanda e offerta è ostacolato da una legge vecchia, controversa e ora più che mai inadeguata, la Bossi-Fini, che andrebbe dunque abrogata con l’accordo di tutti, senza che ciò costituisca un ammainabandiera per nessuno.
Anche il recentissimo decreto Cutro, diventato legge sull’onda emotiva delle tragedie in mare, contiene un’inutile foga declaratoria e importanti criticità sui meccanismi di integrazione degli stranieri nel circuito della seconda accoglienza, che andrebbero superati senza che alcuno meni scandalo. Così come va risolta la schizofrenia sulle navi delle Ong, alle quali un giorno si chiede una mano nei salvataggi e il giorno dopo si riserva un trattamento da battelli pirata.
Dobbiamo trovare modo di lavorare insieme. Le cronache dall’altra parte del Mediterraneo non sono rassicuranti. Il memorandum con la Tunisia, firmato in pompa magna e presentato come una svolta, non funziona per l’inaffidabilità del nostro presunto partner, il presidente Saied, che con la caccia xenofoba ai subsahariani aggrava fughe e flussi.
E gli accordi con la Libia traballano assieme all’incerto destino del premier Dabaiba, che a Tripoli non controlla neanche il cortile di casa. Siamo soli, o quasi. Col trattato di Dublino che ci soffoca. Con l’Europa che da sempre ci usa da hotspot, sorridendoci. Pensate se i leader di maggioranza e opposizione si alzassero in piedi assieme per una volta. E, senza cercare sponde alleate a Bruxelles, parlassero per l’Italia con un’unica voce, senza slogan.
Un miraggio? Certo. Ma varrebbe la pena di immaginarlo, quel giorno, per vedere l’effetto che fa.