di Mario Lavia
Parole al vento
Giuliano Amato su Ustica, Elly Schlein sul referendum anti Jobs act e Giuseppe Conte sui risultati del Superbonus hanno fatto parlare di sé per giorni, ma i temi lanciati nella arena pubblica si sono rivelati inconsistenti, per ragioni diverse
In poche ore abbiamo visto tre palloncini sgonfiarsi e scoppiare nel cielo, tre palloncini molto diversi ma entrambi pieni d’aria e basta. Il primo è quello della cosiddetta verità su Ustica sparata in prima pagina da Repubblica con l’intervista di Simonetta Fiori a Giuliano Amato, ottantacinque anni, il più colossale curriculum politico e istituzionale della storia d’Italia, praticamente tutto tranne il Quirinale.
Nel merito Amato non ha detto nulla di particolarmente nuovo, peraltro sminuendo il tutto già nell’intervista parlando di «deduzioni», tranne intimare a Emmanuel Macron di salire sul banco degli imputati, tanto per peggiorare ulteriormente le relazioni con la Francia che – lo notiamo incidentalmente – è considerata dall’attuale presidente della Repubblica, quello che in un certo senso ha tagliato la strada ad Amato, un alleato preziosissimo e imprescindibile (si veda al riguardo il grande lavoro che ha portato al Trattato del Quirinale appunto con la Francia).
Bene, ieri il presidente Amato ha fatto sapere di essere «rammaricato» per aver sollevato questo vespaio: come se uno della sua esperienza non potesse immaginare le conseguenze di quella intervista che, a occhio, era stata concordata con il giornale che l’ha pubblicata e dunque tesa a produrre chissà quali effetti politici. Diversamente, quelle due pagine non si spiegherebbero. Non si sa se i magistrati romani convocheranno l’ex presidente del Consiglio per chiedere lumi sulle sue affermazioni ma è probabile che non succeda nulla di nulla, visto che lo stesso Amato ha sostanzialmente smosciato la sua verità.
In definitiva, Amato ha bruciato la possibilità di nuove iniziative tese a far luce sulla tragedia di Ustica, ha tirato in mezzo il presidente della Francia, ha riaperto una ferita senza motivo, ha infangato Bettino Craxi che non si può difendere: ma presto il palloncino è volato tra le nuvole. Decine di articoli, servizi, post buttati via. Tempo perso, e anche serietà offesa.
Il secondo palloncino, peraltro di ben più misera fattura, si trovava tra le mani di Elly Schlein che giorni fa ha fatto capire (pur non dicendolo esplicitamente) che il Partito democratico appoggerà il referendum della Cgil per abolire il Jobs act. Anche qui, quintali di inchiostro, polemiche, discussioni. Ma era tutto finto come un set a Cinecittà. Maurizio Landini ha annunciato un referendum che non si farà mai – e questo fa parte della sua estroversione che non contempla riflessione – ma è più grave che la segretaria del Pd abbia abboccato come un tonno a un amo inesistente.
L’arcano lo ha svelato Maria Cecilia Guerra, componente della segreteria del Pd e responsabile delle questioni del lavoro, vicinissima alla segretaria: «Maurizio Landini, nell’ambito di sette iniziative che la Cgil sta facendo, ha parlato di precarietà e, dentro a questo ragionamento (l’italiano è incerto – ndr), ha citato il referendum abrogativo sul Jobs act. Non si tratta di una proposta tecnica definita, anche perché il Jobs act è stata una legge delega alla quale sono seguiti diversi decreti attuativi.
Per modificarlo occorrerebbe un quesito su punti definiti della legge». Tradotto: non si può fare alcun referendum. Per mascherare questa boutade Guerra se l’è presa con Matteo Renzi, ma questo fa parte del bowling che si pratica al Nazareno, si scaglia una boccia contro il birillo preferito, il un leader di Italia viva, e non si sbaglia. Ed è il secondo palloncino scoppiato anche in questo caso facendo strame di serietà.
Il terzo è quello di Giuseppe Conte, l’indimenticato presidente del Consiglio di un governo al quale egli impose il bonus del centodieci per cento che è costato all’incirca duemila euro per ogni italiano, una misura populista e demagogica di cui hanno approfittato molti ricchi e nessun povero, ovviamente. È questo forse il lascito più emblematico dell’avventurismo di governo dell’avvocato di Volturara Appula che con questo provvedimento davvero gettò una politica senza idee nello stagno del puro potere.
Ecco, sono questi i tre palloncini «scappati di mano ai bambini», come cantava Renato Rascel, solo che qui sono scappati rispettivamente a due ex presidente del Consiglio e a una aspirante premier. Ora per favore si tenti di restaurare, tutti, un minimo di serietà, se possibile.