Movimento lento
A rimorchio di Cgil e Cinquestelle, il gruppo dirigente propone le priorità sulla base degli eventi, trasformando il Partito democratico in un guscio senza comunità e linea politica. Ma soprattutto senza una dialettica interna che non sia l’unanimismo o il suo rovescio: la caccia al capo
Quello che sta avvenendo nel Partito democratico è un fenomeno incredibile, pur nel contesto piuttosto avventuroso della politica italiana. Un partito che dall’oggi al domani cambia la sua natura, da partito di governo, fondamentalmente responsabile di fronte all’Europa, a partito di opposizione pura e dura come non si è mai visto nel nostro paese, al di là di gruppi piccoli o piccolissimi.
Da partito tendenzialmente maggioritario, capace di parlare a ceti diversi facendo sintesi di bisogni e richieste non sempre coincidenti, a partito intenzionalmente e quasi appassionatamente minoritario, che non ha un riferimento sociale se non quello piuttosto vago dei “poveri”.
Al posto di progetto e proposte, un movimentismo ormai logoro e fuori tempo, nutrito dai social anziché dal dibattito. Una segretaria che propone le priorità sulla base degli eventi: al tema del lavoro, ripreso da Giuseppe Conte, ora, dopo il terribile incidente di Bandrizzo, ha aggiunto la rete ferroviaria; mentre ha approfittato della decisione di Olaf Scholz per chiedere la cancellazione dell’aumento delle spese militari.
Una segretaria che va a rimorchio della CGIL, tornata dopo lungo tempo unico sindacato di riferimento; che su una questione complessa e importante come la maternità surrogata enuncia una opinione personale, come se il suo compito fosse quello di manifestare delle opinioni, e non di fare avanzare il dibattito nel partito e nel paese, per arrivare a mediazioni politiche.
Più in generale, si deve dire che questo Pd cavalca i peggiori istinti della sinistra populista, anche a costo di rifiutare e cancellare pezzi della sua stessa storia, senza peraltro proporre niente di nuovo e di concreto (si veda il caso Jobs act).
Particolarmente significativa è la questione delle riforme istituzionali, sulle quali già una parte del Partito Comunista italiano, e poi il partito che è seguito, hanno sempre sostenuto una posizione avanzata, a partire da AchilleOcchetto, come ha ricordato Carlo Fusaro.
Attestarsi ora sulla posizione conservatrice, in senso letterale, per cui la costituzione si applica e non si cambia, ignorando la necessità di modificare la forma di governo, indicata da fior di studiosi e già da alcuni costituenti, significa lasciare alla destra l’iniziativa e, quel che è peggio, libertà di manovra, col rischio che davvero ne venga fuori un disastro.
Puntare sul referendum confermativo non solo è imprudente, ma soprattutto è espressione di miseria politica. Quella stessa miseria che si è manifestata nell’accodarsi ai Cinquestelle sulla riduzione del numero dei parlamentari al di fuori di una seria riforma del bicameralismo, e nel continuo ricorso ai temi e ai sentimenti dell’antipolitica, senza mai proporre soluzioni, da ultimo nel caso del coraggioso intervento di Piero Fassino sugli emolumenti dei parlamentari.
Come è stato possibile questo processo? Oggi, dopo quindici anni di alterne vicende, non si può non pensare che ci sia qualcosa che non va nella struttura stessa del Pd, nel suo modello di partito. Non tanto dal punto di vista organizzativo, sebbene anche questo sia un problema, ma dal punto di vista politico. Che partito è il Pd?
Purtroppo dobbiamo dire che è un partito senza forma, incapace di una dialettica interna che non sia l’unanimismo o il suo rovescio: la caccia al segretario. Un partito che non riesce più a fare un congresso che sia un vero momento di dibattito politico-culturale. Dunque incapace di produrre una linea politica, un progetto per il paese.
Si può osservare che la difficoltà della politica, non solo di sinistra, è oggi presente in tutte le democrazie, messe in crisi da un populismo che trova nel malessere prodotto dalla rivoluzione tecnologica e dalla globalizzazione il suo terreno di coltura, e nei social il suo strumento più potente.
Ma questa considerazione non basta per spiegare l’involuzione del dibattito pubblico nel nostro paese e, al suo interno, l’involuzione dei gruppi dirigenti del Pd. Forse è ora di chiedersi se non sia necessario cambiare qualcosa nella forma stessa del partito.
(italiaoggi.it)