Meglio bonus, superbonus e redditi garantiti
Giuseppe Conte, con una intervista al QN, salta sull’allegro carro dei referendari che vogliono ammainare il Jobs Act. La misura che ha creato più lavoro negli ultimi dieci anni è irritante, forse perfino insopportabile per chi ha gonfiato con gli assegni da divano il proprio tornaconto elettorale. “Con i nuovi gruppi territoriali del M5S raccoglieremo sottoscrizioni in tutti i territori”, promette. Si vedrà.
Il referendum, beninteso, non c’è. Non ce n’è neanche l’ombra. È una proposta ancora in bozze sulla quale la Cgil di Maurizio Landini trovato il sostegno del Pd di Elly Schlein e di una variopinta sinistra che risulta aver superato di poco le 300.000 firme. Tantissime, secondo i promotori. Certo che rispetto ai 5.100.000 iscritti circa che la Cgil dichiara di avere, a voler fare di conto, parrebbe invece il solo sostegno di una sparuta minoranza interna. Il 6,5% dei tesserati. Ma d’altronde è un referendum che non esisterà probabilmente mai. Genovesi, capo della Fillea Cgil, chiarisce che il testo ancora non esiste, anche se «non si esclude».
Tra i dem aumentano i contrari e i perplessi, anche vicini a Schlein: «Puntiamo al salario minimo», dicono in molti. Ma Conte pensa bene di cavalcare l’ennesima battaglia per contrastare la crescita e l’occupazione. Che rivendica con forza: “Non a caso già nel 2018, con il decreto legge Dignità, il M5s è intervenuto per ridurre la possibilità di rinnovo dei contratti a termine previsto da quella legge”.
E poi lancia il grido di guerra: “Il Jobs Act è stato una sciagura”. Peccato che l’Istat abbia certificato un aumento di lavoratori occupati passati da 22 a 23 milioni con l’effetto diretto della sua applicazione. Sono dettagli, numeri che a Conte e ai suoi interessano poco. Al Movimento Cinque Stelle stanno più a cuore bonus, superbonus e redditi garantiti: provvidenze pubbliche, insomma. Sono molto più vantaggiose del lavoro privato, in termini di ritorno elettorale.
Così Conte e i suoi scavano nei meandri dell’immaginario di una sinistra orfana di idee. Nasce anche un sito “ibrido”, www.salariominimosubito.it come hub di raccolta del “Comitato Salario Minimo Subito”, altra bandiera da sventolare.
Insieme agli analisti di Arcadia verifichiamo come arrivino le firme su quel sito: è principalmente Il Fatto Quotidiano – la testata di riferimento di Conte e dei contiani – a portare traffico web (per il 49% degli accessi) a quella petizione digitale. Dal sito del Pd arriva appena il 2,92% dei firmatari. Che però possono moltiplicarsi: constatiamo, provando noi stessi, che il sistema accetta senza intoppi quelle di fantasia e i doppioni di chi vuole ripetere la firma quante volte vuole. Comunque, Conte è raggiante.
Via il reddito di cittadinanza, ha ritrovato in fretta e furia temi caldi su cui battere. A Raffaele Marmo del QN che gli chiede cosa farà nel caso di flop referendario, Conte risponde beato: “Non ci arrenderemo certo ora che il salario minimo è una priorità per i cittadini”. Le stesse parole con cui un altro agguerrito comitato aveva lanciato il No all’abolizione dell’articolo 18. La consultazione si tenne nel giugno 2003 e portò al voto il 25% degli aventi diritto. Quorum non raggiunto e referendum non valido.
Figuriamoci se qualcuno, dopo che Cgil-Pd-M5S hanno cristallizzato il massimo del salario a 9 euro, si incaricasse di provare che è possibile portarlo a 10. Mentre i Dem sembrano iniziare a prendere le distanze, Matteo Renzi chiede un’occasione di dibattito con Schlein sul Jobs Act: “Ho chiesto un confronto pubblico ma ho l’impressione che Schlein abbia paura di accettare. Voi che dite?
Ma soprattutto: gli amici che votavano PD perché era la casa del riformismo, come fanno a stare in un partito che tradisce le idee per le quali abbiamo lavorato insieme?”.