Il salario minimo è un bluff (italiaoggi.it)

di Carlo Valentini

La proposta è incostituzionale. I salari non 
sono fermi
Rapporto Adapt, a cura di Michele Tiraboschi (Cnel), che collaborò con Marco Biagi
«Il confronto politico sul salario minimo per legge è affrontato con un eccessivo grado di astrazione. È questa una delle ragioni dell’estrema polarizzazione del dibattitto su una materia che, di per sé, è caratterizzata da un elevatissimo tasso di complessità tecnica. Le numerose proposte di intervento legislativo, che si susseguono con insistenza da dieci anni a questa parte, sembrano infatti non conoscere le reali dinamiche dei trattamenti retributivi nei diversi settori economici e produttivi che sono oggi governate da una ricca e diversificata contrattazione collettiva di livello nazionale.
Sollecitare un intervento legislativo sui salari senza conoscerne l’attuale struttura e composizione non può portare a nulla di buono rispetto a un’emergenza che certamente esiste e che, tuttavia, impone interventi che vadano oltre gli slogan e le bandiere politiche».

Michele Tiraboschi è docente al Dipartimento Economia dell’università di Modena-Reggio Emilia, è componente del Cnel (che dovrà esprimere sul salario minimo il parere che è stato chiesto dal governo), era uno dei più stretti collaboratori di Marco Biagi, il giuslavorista (insegnava all’ateneo modenese) ucciso dalle Nuove Brigate Rosse nel 2002 perché stava approntando, per conto del governo Berlusconi, la riforma del mercato del lavoro, introducendo più flessibilità.

Tiraboschi è anche il coordinatore scientifico di Adapt, l’associazione di studi sul lavoro fondata da Biagi, che ha dedicato al salario minimo il suo ultimo dossier: «Anche a prescindere dal problema delle voci che, in base a questa proposta di legge, concorrerebbero o meno a quantificare il trattamento economico di 9 euro lordi, se cioè il minimo tabellare o il minimo contrattuale, le questioni da affrontare e risolvere sono ben più numerose e complesse: la proposta intende fissare, in capo ai datori di lavoro, l’obbligo di una tariffa minima legale o sta anche imponendo un obbligo ai contratti collettivi di lavoro chiamati a non derogare alla tariffa indicata nella proposta?

Le intenzioni dei proponenti, seppure non chiarissime, sembrano orientate verso questa seconda direzione. Infatti si legge testualmente: «Il trattamento economico minimo orario stabilito dal Contratto nazionale, non può comunque essere inferiore a 9 euro lordi». Ciò è perentoriamente precluso dalla nostra Carta costituzionale che vieta al legislatore di imporre alcun obbligo ai sindacati e conseguentemente ai sistemi di contrattazione collettiva».

Secondo il rapporto la proposta di legge presentata in parlamento è un bluff: tanto rumore ma intervenire in questo modo non serve a nulla. Inoltre non è vero che la contrattazione sia in crisi e i salari fermi: «Rispetto al dibattito pubblico il punto è capire se una materia così complessa possa essere affidata al legislatore, quantomeno con riferimento al nodo dei minimi salariali, o se la materia possa e debba essere ancora affidata a una contrattazione collettiva che è certamente chiamata a legare il tema dei salari a quello della produttività.

Una nota del Centro Studi Confindustria evidenzia come tra il 2000 e il 2020 nel manifatturiero italiano i salari reali siano cresciuti del 24,3%, in linea con la variazione cumulata della produttività del lavoro, pari al 22,6%. La crescita dei salari reali in tale periodo è stata pressoché in linea con quella registrata in Francia (+25,3%) e superiore a quella della Germania (+18,1%) e della Spagna (14,4%). In questi Paesi, però, la produttività del lavoro è cresciuta molto più che in Italia».

Rimane una fascia di lavoro marginale ma non troverebbe beneficio da una legge: «Circa 4 milioni di dipendenti (il 29,5% del totale) sono a bassa retribuzione annua. Di essi solo 282mila a tempo pieno e indeterminato, gli altri hanno tipologie contrattuali flessibili. Quindi il «lavoro povero» non è legato a salari contrattuali orari bassi ma al fatto che i lavoratori non lavorano a tempo pieno e non per tutto l’anno. Inoltre su questi dati potrebbe incidere fortemente il lavoro irregolare».

È quindi sui contratti di lavoro di breve durata che bisognerebbe intervenire per contrastare il lavoro povero. Commenta Tiraboschi: «Come giustamente scriveva Ezio Tarantelli, in una lezione purtroppo oggi dimenticata, «un sistema di relazioni industriali è un sistema complesso di regole non un sistema di regolamentazione del salario. Il volerlo ridurre a un sistema di regolamentazione del salario denuncia una comprensione solo parcellare di un sistema socio-politico ben più complesso».

Sul salario minimo legale il nodo «politico» della questione è tutto qui e persistere nella ricerca di una soluzione legislativa significa non aver compreso le ragioni più profonde e ancora attuali di quello che lo stesso Tarantelli aveva definito nei termini di un vero e proprio sfascio del nostro sistema di relazioni industriali, con una sostanziale marginalizzazione dei corpi intermedi che, indubbiamente, non hanno fatto molto per cercare di ritornare al centro dei processi economici e sociali.

La verità è che, nel medio periodo, i salari reali degli italiani si possono alzare soltanto aumentando la produttività, evitando ovviamente che il valore aggiunto venga trasferito altrove. A conferma che il problema e la possibile soluzione della questione salariale è tutta nelle mani degli attori del nostro sistema di relazioni industriali e non certo della politica».

Per quanto riguarda i livelli retributivi, i dati Istat (novembre 2020) rilevano retribuzioni contrattuali orarie lorde da un minimo di 6,15 euro degli operai agricoli con la qualifica piuØ bassa ad un massimo di 56,85 euro per le figure apicali del settore del credito, con un valore medio di 14,00 euro.

Concludono Tiraboschi e il rapporto Adapt: «Con l’introduzione di un minimo tabellare orario obbligatorio per legge pari a 9 euro lordi (giuridicamente impraticabile) non si interverrebbe soltanto sui salari dei lavoratori inquadrati nei livelli più bassi ma si finirebbe per creare, più o meno consapevolmente, uno squilibrio che investirebbe, di riflesso, tutti gli altri livelli dei sistemi retributivi contrattuali vigenti».

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